giovedì 18 aprile 2024
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di Luigi Piras
il Timone N. 198 di Settembre 2020

Vent’anni di Putin, il grande fratello

In una giornata dell’autunno 1996, a San Pietroburgo, su un vecchio tram poco affollato un controllore si avvicina a due loschi passeggeri e chiede di mostrare il biglietto. I due con un ghigno rispondono che non hanno nulla con sé. L’uomo intima loro di pagare la multa, ma, impotente, ottiene solo altro scherno. Allora un giovane dallo sguardo sornione si alza in piedi, estrae dal giaccone una rivoltella, si dirige verso la coppia di sbolinati e attingendo alla ricchezza del turpiloquio russo si fa dare i soldi della multa, che gira al controllore. Poi torna al suo posto e prosegue la corsa.

La scena in questione è una delle più famose di un film russo uscito nella primavera del 1997, Brat (Fratello) di Alexej Balabanov, che riscosse i favori della critica in Europa ma soprattutto ebbe un grandissimo successo in patria. Il successo che bacia le pellicole anche povere – questa fu prodotta con costi risibili – ma capaci di cogliere l’essenza di un periodo storico o uno stato d’animo collettivo. E che risultano catartiche. Brat descriveva la voragine sociale apertasi con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, focalizzandosi sulla ex Leningrado: miseria per le strade e interni fatiscenti, criminalità rampante e nuove mode occidentali, anarchia e prostituzione. In quel contesto Danila, il giovane giustiziere sul tram – interpretato dall’attore Sergej Bodrov – un militare di ritorno dalla guerra in Cecenia, arrivava in città in cerca del fratello…

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