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Asia Argento: da accusatrice ad accusata
NEWS 21 Agosto 2018    di Giulia Tanel

Asia Argento: da accusatrice ad accusata

La vicenda è rimbalzata su tutti i media del mondo: l’italiana Asia Argento, nota per essere tra le prime ad aver denunciato pubblicamente per violenza sessuale il produttore cinematografico Harvey Weinstein, tanto da essere diventata una leader del movimento #MeToo nato in relazione a questo scandalo, è passata dall’essere accusatrice all’essere accusata. A portare alla luce i fatti è stato il New York Times e ad accusare l’Argento è l’attore e musicista Jimmy Bennett, che nel 2004 interpretava suo figlio nel film Ingannevole è il cuore più di ogni cosa.

La nota testata ha dichiarato di essere in possesso di un selfie dei due a letto, in California, datato 9 maggio 2013, epoca in cui Bennet aveva ancora 17 anni (età non sufficiente per prestare il proprio consenso, secondo la legge californiana), ma anche della richiesta del giovane di un maxi risarcimento di ben 3,5 milioni di dollari per i danni subiti a livello emotivo e per le ricadute indirette che l’evento avrebbe avuto sulla sua carriera. Ad oggi, pare che l’Argento si sia accordata per dare a Bennet 380.000 dollari in un anno e mezzo, dei quali 200.000 sarebbero già stati pagati ad aprile.

Questi dunque i fatti. Fatti che, in realtà, non fanno altro che rispecchiare la nostra natura umana corrotta e che naturalmente ci scandalizzano, ma che possono essere volti al positivo se li analizziamo come un richiamo al nostro bisogno di guardaci e riconoscerci come figli amati.

Come primo punto di riflessione, sorge alla mente la parabola della pagliuzza e la trave: «Perché – affermava Gesù – guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello» (Lc 6,41). Il che ci richiama al tema della superbia, che san Gregorio Magno – confermato in seguito da San Tommaso e da molti altri santi e teologi – per primo ha definito la “regina di tutti i vizi”. La superbia si concretizza infatti in un amore smodato verso il proprio sé che, in quanto tale, in fondo nega il Creatore. Al contrario della vera umiltà, che non è tanto un declassarsi, quanto la capacità di leggere in maniera razionale la realtà, attribuendosi i giusti meriti ma anche riconoscendo le proprie colpe e la propria limitatezza, intrinseche al nostro essere uomini.

Ed è proprio a questa ultima affermazione che si lega una seconda considerazione: la vicenda dell’Argento rende evidente che la morale, intesa quale insieme di norme che regolano il vivere comune, non regge se non assume un punto di riferimento che sia esterno all’uomo e in grado di rispondere in maniera piena alle domande nascoste nel cuore di ogni persona. Una facoltà, questa, propria solo di Colui che l’uomo lo ha creato e che – al netto della tara del peccato originale – definisce con certezza la distinzione tra il Bene e il Male, scritti con le inziali maiuscole.

Altrimenti si rischia di cadere, e questa volta veramente, in quello sterile “moralismo” di cui si accusa tanto la Chiesa, ma che qui assume contorni fragili e volubili nel tempo e nello spazio, appunto in relazione all’umana caducità.


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