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Asia è libera, ma in Pakistan c’è chi la vorrebbe morta insieme ai giudici
NEWS 1 Novembre 2018    di Giulia Tanel

Asia è libera, ma in Pakistan c’è chi la vorrebbe morta insieme ai giudici

Ieri mattina presto, ora italiana, è finalmente arrivata la sospirata notizia: la pakistana Asia Bibi, madre cristiana cinquantunenne in carcere da ben 3420 giorni con l’accusa di blasfemia, è stata assolta. La donna, interiormente libera in quanto immersa nell’amore del Signore, è ora sciolta anche da tutte le accuse che pendevano su di lei. Queste le parole del presidente della Corte suprema Mian Saquib Nisar: «L’appello è accolto. Lei è stata assolta. Il giudizio dell’Alto tribunale e quello del tribunale dei processi sono stati rovesciati. La sua condanna [a morte, ndR] è accantonata».

LE REAZIONI IN PAKISTAN

In realtà questa decisione era già stata presa l’8 ottobre, durante l’udienza finale tenutasi a Islamabad, ma non era stata resa pubblica per motivi di sicurezza. Infatti, per la donna e la sua famiglia, così come per i giudici che hanno emesso la sentenza, per l’avvocato mussulmano di Asia Bibi Saiful Malook, ma anche per tutti i cristiani presenti nel Paese (una minoranza che rappresenta circa il 2% della popolazione), il rischio era quello di essere uccisi dagli estremisti islamici convinti della colpevolezza di Asia Bibi: le esecuzioni extragiudiziali a danno di persone accusate di blasfemia non sono infatti nuove nel Paese. Un timore, questo, che si è fatto concreta realtà nella giornata di ieri, a sentenza resa nota, come tutti i grandi media non hanno mancato di riportare: in Pakistan si registra un clima da “guerra civile”, con un imponente dispiegamento di forze dell’ordine (dislocate nelle zone calde e presso i luoghi di culto cristiani) e con l’esplosione di manifestazioni di protesta in numerose città, promosse in particolare dal partito politico radicale Tehreek-e-Pakistan Labbaik (Tlp), che ha anche fatto richiesta di morte per i tre giudici che hanno emesso la sentenza e di dimissioni del primo ministro Imran Khan.

E proprio quest’ultimo ha diramato tramite PTV un breve videomessaggio nel quale afferma che «il Pakistan è stato fondato “nel nome dell’Islam” e il verdetto dato dalla Corte suprema è conforme alla Costituzione, che è in linea con gli insegnamenti del Sacro Corano e della Sunnah»; quindi ha stigmatizzato le proteste scoppiate in tutto il Paese e ha avvertito che, se la cosa dovesse continuare, lo Stato non starà a guardare; inoltre, Khan ha condannato il «linguaggio usato dagli intransigenti contro i giudici» e ha invitato tutti a guardare al bene e al sostentamento dell’intera cittadinanza.

LE REAZIONI DEI FAMILIARI DI ASIA

Naturalmente, nonostante il clima di terrore che li avvolge, i familiari di Asia Bibi hanno accolto con estrema gioia la proclamazione dell’assoluzione. Il marito di Asia, Ashiq Masih, ha affermato: «È la notizia più bella che potessimo ricevere, è stato difficilissimo in questi anni stare lontano da mia moglie e saperla in quelle terribili condizioni. Ora finalmente la nostra famiglia si riunirà, anche se purtroppo dubito che potremo rimanere in Pakistan». E la figlia minore di Asia, Eisham Ashiq, in lacrime: «Non vedo l’ora di riabbracciare mia madre. Finalmente le nostre preghiere sono state ascoltate!».

LE REAZIONI INTERNAZIONALI E LA MANO TESA DALL’ITALIA

Saranno necessarie ancora ore, forse giorni, per avere contorni più dettagliati della vicenda, in quanto «il verdetto deve essere consegnato all’Alta Corte di Lahore e poi alla prigione di Multan». Intanto si affastellano le ipotesi su dove sia in questo momento Asia Bibi e su quale potrebbe essere il Paese che darà ospitalità a lei e alla sua famiglia, ma ancora di certezze non ce ne sono.

Guardando al panorama italiano, già nei giorni scorsi la Regione Lombardia si era detta pronta ad «accoglierla e garantirle ospitalità» ad Asia Bibi; a questo, nella giornata di ieri si sono aggiunti Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia e Il Popolo della Famiglia, che hanno chiesto che il Governo si muova per far giungere la donna in Italia. Nel contempo, Aiuto alla Chiesa che soffre, in comunione con il Patriarcato di Venezia, ha annunciato che il prossimo 20 novembre verranno illuminati di rosso «il Canal Grande di Venezia e numerosi altri luoghi simbolo della città […] per ricordare i milioni di cristiani oggi perseguitati, e in particolar modo Asia Bibi». E la speranza è che, per quella data, la vicenda della martire cristiana dei nostri giorni possa aver veramente visto una felice conclusione.


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