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C’è un amore più grande di chi dà  la vita dopo uno stupro? La storia di Robyn e Adriel
NEWS 5 Agosto 2014    

C’è un amore più grande di chi dà la vita dopo uno stupro? La storia di Robyn e Adriel

di Benedetta Frigerio

Picchiata, insultata e stuprata dal suo fidanzato, rimase incinta e decise di nascondere la violenza, temendo per la reazione che la cosa avrebbe potuto suscitare in famiglia e in parrocchia. «Ma quando mio figlio Adriel è venuto al mondo, sono stata sopraffatta dalla gioia» e «i miei genitori erano orgogliosi e felici di vederlo».

«Volevo solo scomparire».

Lei si chiama Robyn McLean, è una giovane americana di origini filippine, e ha deciso di raccontare al mondo attraverso un blog la sua storia personale così drammatica e felice. Robyn rimase incinta nel 2010, due settimane dopo aver detto al suo fidanzato che non voleva più avere rapporti sessuali con lui: «Volevo aspettare fino al matrimonio», ma lui «abusò di me con violenza». Robyn è figlia adottiva di un pastore protestante e aveva educato molte ragazze più giovani di lei al valore della castità. «Io, però, sono caduta». E dopo la scoperta della gravidanza, la ragazza passò ore e ore in lacrime, «pensando a loro: volevo solo scomparire». Non solo: quando Robyn disse al suo fidanzato che era decisa a lasciarlo, lui la ricattò minacciando di spargere voci di ogni tipo sul suo conto. Per convincerla il giovane arrivò persino a fingere un rimorso che in realtà non provava: «Mi chiese perdono per non avermi trattata per il tesoro che ero», salvo poi cercare di violentarla ancora tre mesi dopo: «Cercai di difendermi (…), finché smise».

«Chi vorrebbe questo bambino?».

In seguito, «per una serie di ragioni» (o di non ragioni), Robyn decise però di rimanere con quell’uomo. «Finì che ci sposammo, speravo che lui sarebbe cambiato. Non posso dire quanto ero accecata allora», confessa la ragazza. «Cercavo in qualche modo di sopravvivere e di evitare i problemi». Per mesi, da tutte le parti (compresa la sua chiesa), le persone intorno a lei la bombardavano di dubbi: «Chi vorrebbe questo bambino?», «Chi vorrebbe ricordi così?». E invece quando nacque Adriel inaspettatamente «non provavo alcuna vergogna nel guardarlo. Nuovi sentimenti e memorie emergevano. Non c’era pena né agonia. Era un bambino così caro che mi conquistò».

«Vidi che lo amavo»

Il piccolo sgretolò «il muro di pregiudizi che dicono che nulla di prezioso può venire da una violenza o da una circostanza drammatica», racconta oggi Robyn. Fortunatamente, continua, «i miei sentimenti non cambieranno mai (…) a prescindere dal suo padre biologico. Sono fiera di mio figlio, di quanto è stato forte in grembo». E se «i problemi e la vergogna prima erano l’unica cosa che vedevo, quando nacque mio figlio cambiò tutto. Io cambiai, i miei sentimenti cambiarono» e «vidi chiaramente quanto lo amavo». Adriel è stato da subito «una calamita per le persone (…) che cerca sempre di far sentire importanti».
Robyn non esita ad andare dritta al punto. L’aborto. È sbagliato pensare che una vicenda drammatica come la sua debba per forza finire così. «Non sempre sappiamo che cosa ci riserva il futuro», scrive. Ma in ogni caso secondo lei «prendere la decisione di uccidere un bambino in grembo perché pensiamo che andrà a finire in un certo modo, un modo migliore, è molto fuorviante. Quando guardo mio figlio e vedo lui, sento lo stesso amore che ha ogni madre. Non vedo i brutti ricordi o il dolore. Non ho rimpianti, non sento male». Anzi, «mi sento libera».

«Vi voglio bene»

Robyn pensa «alle mamme là fuori che hanno avuto un aborto» senza alcuna presunzione né volontà di giudicare nessuno. «Non sono arrabbiata con voi. Il mio cuore piange la perdita di vostro figlio (…). Alcune di voi non hanno mai avuto qualcuno che abbia detto loro che le amava, ed è così difficile per loro amare gli altri». Ecco, se «vi hanno detto che siete niente, che siete inutili e stupide. Voglio dirvi che io vi voglio bene. Che siete volute. Che avete valore».