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Cina, vietata l’evangelizzazione on line
NEWS 19 Settembre 2018    di Giulia Tanel

Cina, vietata l’evangelizzazione on line

In Cina la persecuzione contro i fedeli si fa sempre più stringente. In ordine temporale, uno degli ultimi provvedimenti è stata l’emanazione, il 10 settembre scorso, delle Misure per la gestione delle informazioni religiose su Internet. Nel concreto, riporta la Cna, queste nuove regole comportano che «quei gruppi o chiese che desiderano mantenere un sito religioso avranno bisogno di una licenza rilasciata dal governo che certifichi che il loro contenuto è politicamente accettabile. L’evangelizzazione online è severamente vietata, così come i materiali destinati alla conversione dei lettori. Le risorse catechistiche o istruttive non possono essere pubblicate online, bensì devono essere limitate alle reti interne cui si accede con nomi utente e password registrati». Limitando dunque l’analisi al solo mondo cattolico cinese, questo significa che per 12 milioni di cattolici sarà sempre più difficile innanzitutto coltivare la propria fede, attingendo a contenuti formativi, ma anche essere «la luce del mondo» (Mt 5,13) per la conversione di tanti cuori.

Il tutto viene compiuto in favore dell’affermazione del credo politico comunista e dell’identità nazionale. È infatti questo l’indirizzo imposto dal presidente Xi Jinping, e inaspritosi dal febbraio di quest’anno, con «ampi cambiamenti alla politica religiosa del governo», influenzate anche da un contestuale aumento di potere del presidente, a seguito di alcune revisioni a livello costituzionale. Questo nuovo indirizzo ha portato, negli ultimi mesi, alla chiusura di diverse chiese, al divieto per i bambini «di frequentare i servizi religiosi», a bruciare le Bibbie e, finanche, a episodi di «cristiani costretti a firmare dichiarazioni che rinunciano alla loro fede».

In proposito Bob Fu, fondatore e presidente di China Aid, organizzazione non governativa cristiana senza scopo di lucro che si concentra sulla sensibilizzazione sugli abusi dei diritti umani, ha dichiarato: «Ora che il Partito Comunista Cinese ha iniziato a bruciare Bibbie e costringere milioni di credenti di fede cristiana e di altre minoranze religiose a firmare persino un impegno scritto per rinunciare alle loro credenze religiose di base, la comunità internazionale dovrebbe allarmarsi e oltraggiarsi per questa flagrante violazione della libertà religiosa e chiedono al regime cinese di fermare e porre rimedio a questa pericolosa rotta».

Come si evince da questa dichiarazione, a essere minacciati nella loro libertà fondamentale non sono solamente i cristiani, bensì anche alcuni gruppi musulmani.

E che la situazione sia allarmante lo riporta anche un rapporto pubblicato da Human Rights Watch il 9 settembre, nel quale si rileva che il governo ha dato vita a una rete di «campi di educazione politica», che contano già migliaia di persone detenute. Un dato, questo, che ha suscitato l’attenzione dell’America, che sta valutando «di prendere in considerazione l’imposizione di sanzioni alla Cina in risposta al programma di detenzione e rieducazione».

Quello che la Cina sta cercando di fare, infatti, oltre a essere come detto un violento attacco alla libertà, è addirittura un tentativo di annullare l’identità delle persone. Si vuole imporre un modello di vita per cui non è possibile pensare ed essere al di fuori di determinati parametri decisi dal governo, che ovviamente non contemplano la possibilità di portare avanti un credo religioso (cristiano o musulmano, poco importa) e un’identità che non sia quella nazionale. Un progetto che, come dichiarato al New York Times il senatore Marco Rubio, si sta realizzando «su una scala che non sono sicuro di aver visto nell’era moderna».


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