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Come rispondere quando ti mettono di fronte alla domanda fatale: «Chi sono io per giudicare?»
NEWS 20 Settembre 2017    

Come rispondere quando ti mettono di fronte alla domanda fatale: «Chi sono io per giudicare?»

Dal sito Radio Spada, riproponiamo la traduzione (a cura di Marco Manfredini) di un articolo uscito sul National Catholic Register a firma di mons. Charles Pope, dal titolo How to Respond When People Say, ‘Who Am I to Judge?

 

Qualche anno fa un certo cattolico piuttosto noto pose la seguente domanda retorica: “Chi sono io per giudicare?”. Fu una domanda raccolta in giro per il mondo, e sebbene venne presa fuori dal contesto (stava parlando di una persona con tendenze peccaminose e disordinate che cercava di vivere rettamente), al mondo non importò. Per un mondo indolente e immerso nel peccato, udire un pastore dire “Chi sono io per giudicare?” fu una vittoria catartica. “Sì!” acclamò il mondo giubilante e consumato; “La Chiesa meschina, odiosa e giudicante è stata addomesticata. Bene! Tutto è ora opinione, nessuno ha il diritto di giudicarmi!”. Non importava che proprio coloro che ci dicevano di non giudicare stessero dettando una legge morale nello stesso atto di bandire la legge morale; stavano emettendo un giudizio proprio nell’atto di proibire il giudizio. Coerenza logica e razionalità non sembrano più essere necessarie in tempi come questi.

Tuttavia la domanda “Chi sono io per giudicare?” non è esattamente una domanda retorica. Invero ha una risposta, anzi, tante risposte. Guardiamo alcune di esse, soprattutto in queste domeniche (23esima Domenica dell’anno), in cui le letture si concentrano sulla correzione fraterna.

Chi sono io per giudicare? Sono una sentinella.

La Scrittura dice:

“Figlio dell’uomo, ti ho posto per sentinella alla casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. Se io dico al malvagio: Tu morirai! e tu non lo avverti e non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta perversa e viva, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te” (Ez 3,17)

Così mi viene ordinato, pena la perdita della mia anima, di correggere il peccatore. Ciò richiede che io giudichi, secondo gli insegnamenti del Signore, cosa è giusto e cosa è sbagliato, e che avverta quelli che persistono impenitenti nel peccato o che addirittura lo celebrano. Se non lo faccio, divento parte del problema e ne condividerò la punizione.

Chi sono io per giudicare? Sono uno che vuole bene alle anime, chiamato ad occuparmi della salvezza di tutti.

La Scrittura dice:

“Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, cosi’ non ti caricherai d’un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore”. (Lev 19,17)

Da notare come questo testo presenta come un fallimento la correzione del peccatore se fatta con odio verso di lui. Ciò è esattamente l’opposto di ciò che accade quando molta gente assimila ogni rimprovero di comportamenti peccaminosi come “linguaggio dell’odio”. In realtà, sono quelli che strizzano l’occhio al peccato ad agire con odio mettendo a rischio le anime (vedere Proverbi 10,10).

San Tommaso propone la correzione fraterna come un atto di carità, perché amare significa volere il bene dell’altro. Essere libero dal peccato e sulla strada della salvezza è il bene dell’altro.

Il testo del Levitico sopra riportato ci ricorda che se amiamo gli altri non possiamo tollerare che vivano nel peccato, perché il peccato è sofferenza e compromissione della salvezza.

La Scrittura dice anche:

“Chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore, salverà la sua anima dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati”. (Gc 5,19)

Nel giudicare distinguendo ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, agisco come uno che ama le anime e non vuole vedere gli altri morire nei loro peccati.

San Paolo fa tanta strada per comandare alla comunità di Corinto in merito a un certo peccatore:

“Questo individuo sia dato in balia di Satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore”. (1Cor 5,5)

In altre parole, Paolo ordina ai Corinzi di scomunicare il peccatore, esponendolo alle conseguenze dei suoi peccati. Si noti che questo non viene fatto per vendetta; ma come estremo amorevole sforzo di salvare l’anima di quell’uomo prima del giudizio definitivo.

Chi sono io per giudicare? Sono un guardiano chiamato a proteggere la Chiesa, la mia famiglia e il mondo dal male.

San Paolo avverte che “Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi” (1Cor 15,33) e che “Un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta” (Gal 5,8).

Quindi, nel correggere il peccatore, non ci occupiamo solo di lui o di lei, ma di tutta la comunità e del bene comune. Comportamenti peccaminosi e disordinati sono dannosi per la comunità. Non solo portano sofferenza al peccatore e a chi è coinvolto dal peccato, ma danno scandalo e possono incoraggiare reazioni malsane come vendetta o rabbia e odio.

Ci sono momenti in cui, dopo ripetuti falliti tentativi di correzione del peccatore, dobbiamo eliminare l’influenza peccaminosa per il bene della comunità. San Paolo dice:

“Vi ordiniamo pertanto, fratelli, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, di tenervi lontani da ogni fratello che si comporta in maniera indisciplinata e non secondo la tradizione che ha ricevuto da noi”. (2Tes 3,6)

Qua San Paolo cerca di preservare la comunità dal disordine e dall’eresia. Dichiara anche:

“Vi ho scritto di non mescolarvi con chi si dice fratello, ed e’ impudico o avaro o idolatra o maldicente o ubriacone o ladro; con questi tali non dovete neanche mangiare insieme. Spetta forse a me giudicare quelli di fuori? Non sono quelli di dentro che voi giudicate? Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi!” (1Cor 5,11)

A volte sono necessari questi metodi più severi per colpire un peccatore incallito e proteggere la comunità. Una volta ancora, è richiesto il giudizio.

Chi sono io per giudicare? Sono uno che ha ricevuto da Gesù l’ordine di farlo.

Gesù dice:

“Se il tuo fratello commette una colpa, và e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello”. (Mt 18,15)

È il chiaro mandato del Signore per correggere gli altri, e non è possibile senza prima giudicare cosa è giusto e cosa è sbagliato in base al suo stesso insegnamento. Poi, avendo osservato errori e malefatte, dobbiamo cercare di correggere.

Il Signore si aspetta da noi che correggiamo le persone che conosciamo e che sono nel peccato. Dobbiamo farlo in umiltà e con amore, ma dobbiamo farlo. Questo è specialmente vero se siamo in una posizione di comando o superiorità: un pastore, un insegnante, un genitore o un anziano.

In tutti questi casi, chi sei tu per non giudicare?

Ci sono determinati giudizi che non possiamo emettere. Per esempio, non posso giudicare se sono più santo di te, o tu più santo di me. La Scrittura dice:

“L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore”. (1Sam 16,7)

Non so dirvi se quel tale è all’inferno. Solo Dio può emettere quel giudizio. Mi è anche proibito il “giudizio di condanna” in cui sono inutilmente duro nella punizione o nelle conclusioni. A questo proposito Gesù, usando la poesia delle coppie, dice:

“Non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati”. (Lc 6,37)

In verità, il Signore dà questo ulteriore avvertimento in merito ai giudizi inutilmente duri:

“Perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati”. (Mt 7,2)

Nessuno di questi è un mandato per il silenzio di fronte al peccato o al male. Dobbiamo giudicare tra bene e male; non possiamo sfuggire ai nostri doveri di correggere l’errore e rimproverare il peccato negli altri. Chi sono io per giudicare? Sono una sentinella, uno che vuole bene alle anime, un guardiano, e uno che ha ricevuto da Gesù l’ordine di parlare ai fratelli che peccano. E visto che siamo chiamati a correggere, dobbiamo anche essere aperti a correggere noi stessi.

Ecco un’ultima parola di Paolo, che ci ricorda il nostro bisogno di giudicare cosa è giusto e cosa è sbagliato, e chiamare compassionevolmente quelli che si trovano persi nell’errore e nel peccato:

“Fratelli, qualora uno venga sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con dolcezza. E vigila su te stesso, per non cadere anche tu in tentazione. Portate i pesi gli uni degli altri, cosi’ adempirete la legge di Cristo”. (Gal 6,1)