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Crocifisso distrutto, la lettera di scuse e quel che manca per riconoscere il male
NEWS 20 Agosto 2020    di Andrea Zambrano

Crocifisso distrutto, la lettera di scuse e quel che manca per riconoscere il male

Il video è per stomaci forti: in un vociare confuso e sconnesso si sentono bestemmie inframmezzate a brandelli di preghiere e avemarie maccheroniche. L’obiettivo è fisso sulla testa del crocifisso appena fatta saltare con un colpo di mazza. All’alba della domenica, di quel crocifisso non rimarranno che brandelli caduti a terra.

A Lizzano in Belvedere provincia di Bologna, la notizia ha fatto il giro delle case in un men che non si dica, i carabinieri sono intervenuti e il tutto ha fatto notizia sui media locali, ma col silenziatore giusto: “ubriachi”, “vandali”, “ragazzi disagiati”.

ll branco – dice il Resto del Carlino – è composto da almeno sei vandali: i carabinieri sanno chi sono, ma mentre tre – un minorenne, un diciottenne e un diciannovenne – sono già stati denunciati per danneggiamenti, per gli altri, tra cui altri minori, manca l’identificazione formale. Sono tutti turisti emiliani, anche di Bologna; nessuno ha precedenti.

Uno di loro ha anche scritto una lettera al parroco, don Giacomo Stagni. E il Timone ne è venuto in possesso.

 

Eccola:

«Ciao Don Giacomo, sono XXX. Scusami ti avevo cercato per scusarmi del mio gesto ignobile e vergognoso.

Non trovo le parole per esprimere l’umiliazione che provo, voglio dirti che non è un gesto di odio né di violenza, men che meno verso il Signore piuttosto una grandissima stupidata quella di aver bevuto con un gruppo di amici che non vedevo da tempo e perdendo il controllo della ragione ho accettato una stupida sfida di XXX.

La mia famiglia mi ha insegnato ben altri valori (il guadagnarsi da vivere onestamente, la sensibilità verso chi soffre, il conforto e l’aiuto verso l’anziano solo, l’attenzione verso un animale indifeso…).

Non ci sono parole sufficienti per scusarmi del mio gesto, non voglio sia coinvolta la mia famiglia, mi farò carico personalmente delle spese. Ti chiedo di farmi sapere il costo e come farti avere il tutto, oppure come recuperare la statua e portarla a far sistemare tutto a mie spese. Ti chiedo di porgere le scuse a nome mio a tutti i cittadini. Ti ringrazio per avermi letto.

Un abbraccio, XXX.

 

«Me l’ha mandata nel pomeriggio di domenica – spiega al Timone don Stagni -. È un ragazzo che sta facendo anche il servizio civile, ha una sensibilità. Vorrei però che non si criminalizzasse questi giovani: la nostra Montagna purtroppo non offre niente ai nostri giovani e noi adulti stessi non offriamo più niente, se non girare per i bar e drogarsi».

L’autocritica del sacerdote sembra più rivolta al mondo degli adulti che a mostrare ai ragazzi la radice del loro errore: «In questi anni, man mano che c’era un’edicola votiva che veniva spogliata non abbiamo protestato. Vede, a Fernè sono morti i vecchietti che abitavano vicino al tempietto e immediatamente sono state portate via le immagini religiose. Purtroppo, quello che è accaduto è frutto di quello che abbiamo insegnato a questi ragazzi. Le bestemmie non sono neanche più sanzionate».

Sicuramente con quel gesto, il ragazzo ha mostrato di avere una coscienza che si è ottenebrata solo nel momento della sbronza sacrilega, ma al mattino si è come riavuta. È una buona base su cui costruire. Ma della sua lettera colpisce il pentimento tutto orizzontale: bene chiedere scusa al parroco, ma perché non allargare lo sguardo e chiedere scusa anche al vero titolare di quel crocifisso? Il senso delle riparazioni non è meramente quello di ripagare materialmente il danno subito, e il ragazzo questo concetto lo ha capito bene. Ma è anche quello di ripagare il danno in termini spirituali a quel Signore che è stato pesantemente bestemmiato in una notte di piena estate.

Il ragazzo ha compiuto il primo passo per un pentimento che però, per portare davvero frutto, dovrebbe contemplare anche un atto pubblico di riparazione. Anzitutto chiamando le cose col loro nome: nascondersi dietro la “bravata”, la scusa del branco ubriaco, la giustificazione del vandalismo della porta accanto e della povertà di risorse che offre ai giovani l’Appennino, è un modo per non vedere le cose in faccia e continuare a ingannare quei ragazzi: i quali non hanno solo vandalizzato una statua, ma hanno profanato il sacro.

Non basta sentirsi in pace con la coscienza perché si ha attenzione verso un animale indifeso: bisogna chiamare il male, male. E qui il male è che il Cristianesimo è sempre più pesantemente preso di mira, ma tutto si nasconde e si anestetizza dietro la “bravata”. Qualcuno aiuti quei ragazzi a vederlo senza dare la colpa alla società. Questo lo fanno anche i sociologi atei.


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