venerdì 19 aprile 2024
  • 0
Elena Bono, cattolica, terziaria francescana, si negà a Pasolini e Visconti. Finendo emarginata
NEWS 19 Ottobre 2015    

Elena Bono, cattolica, terziaria francescana, si negà a Pasolini e Visconti. Finendo emarginata

di Caterina Maniaci

 

Anni Sessanta. Elena Bono è autrice molto apprezzata di poesie, drammi, romanzi. Non è giovanissima, essendo nata nel 1921, in una famiglia che coltiva con passione l'amore per la cultura, soprattutto classica. Comincia a scrivere presto, e nel tempo elabora e definisce un suo stile personale e potente. Piace ad una critica raffinata, come quella di Emilio Cecchi, e sta guadagnandosi un posto di rilievo nelle patrie lettere. La sua ispirazione è profondamente religiosa, mettendo al centro la figura di Cristo e della sua passione, ma nonostante questo – che comincia ad essere una specie di marchio di infamia per il panorama culturale dominato dalla sinistra – continua a mietere consensi. Della sua opera si appassiona persino PierPaolo Pasolini, che comincia a «corteggiarla» assiduamente per far nascere un film dal suo racconto La testa del Profeta.

Ma lei, con grande scandalo generale, dice di no al genio in ascesa. «A Pasolini non perdonavo che lui, che aveva avuto un fratello ucciso dalla brigata Osoppo, facesse il comunista», spiega, e tornerà a raccontare molti anni dopo. E poi, spiega ancora, non era il caso di celebrare quelle strane «nozze mistiche», nel senso che tra la sua poetica e quella pasoliniana esisteva una distanza praticamente incolmabile.

Così risponde, con una certa fierezza: «Mi pare che ognuno debba andare, quindi ognuno vada per la sua strada…». Stessa proposta da parte di Luchino Visconti, ma anche in questo caso non se ne fa nulla, con motivazioni più o meno simili.

Ma da quel «gran rifiuto» si generò una sorta di ostracismo, di lenta discesa nel silenzio, un oblio di dimenticanza in cui la Bono fu avvolta per i decenni a venire. Solo negli ultimi anni si è andata riscoprendo la sua grande qualità di scrittura, la sua profondità, il suo intrinseco valore letterario. Non che la scrittrice e poetessa avesse bisogno dell'avvallo istituzionale della critica per continuare a costruire la sua «cattedrale» di pagine e di versi.

Elena Bono è mancata nel febbraio del 2014, a Chiavari, nella sua bella casa ricca di libri, ricordi, carte e profumi, come rievocato da Silvia Guidi in un commosso articolo dell'Osservatore Romano. E da quel momento la casa editrice Marietti ha ricominciato a pubblicare le sue opere, come La moglie del Procuratore (pp.205, 12 euro) intenso romanzo incentrato sul dialogo confronto tra Claudia Serena Procula, moglie di Ponzio Pilato, e l’amico Lucio Anneo Seneca, sulla condanna e la morte per crocifissione di quello strano profeta, Gesù il Galileo, che ha sconvolto la vita di Claudia e sta per sconvolgere il corso della storia umana. Tratto dalla raccolta Morte di Adamo, ritenuto il capolavoro di Elena Bono, La moglie del Procuratore è in grado di suscitare, come scrive nella prefazione Armando Torno, al lettore dei nostri giorno «abituato a libercoli effimeri strillati dai media e a idee corte che si dimenticano alla fine di ogni stagione, alcune sorprese spirituali». Ed è così: comunque la si pensi, questa lettura, non facile, rappresenta una sorta di percorso impervio lungo

Crinali deserti in cui tornano le grandi domande oggi in gran parte ignorate: chi sono, dove vado, qual è il senso della mia vita. E se si rimane affascinati da questo «viaggio interiore», a cui ci si potrebbe dedicare proprio in questo periodo dell'anno più degli altri generalmente dedicato al vuoto interiore, e si vuole continuare a capire, un valido contributo alla riscoperta dell'autrice è la raccolta di saggi a lei dedicata Quando io ti chiamo. Invito alla lettura di Elena Bono (Marietti 2015). La vicenda dell’eclissi di questa scrittrice autentica non deve stupire più di tanto. Il suo caso ricorda molto quello di Eugenio Corti, scrittore di romanzi quali Il cavallo rosso paragonato a quelli dei grandi russi, molto amato e letto in Francia, ad esempio, ma praticamente ignorato in Italia, a cominciare dal momento in cui «osò» scrivere un dramma teatrale come Processo e morte di Stalin, scritta tra il 1960 e il 1961.

Un monumento al fallimento del marxismo, una «bestemmia» per quella critica ormai compattamente schierata a sinistra, il momento di calare definitivamente il sipario sull'opera di un dannoso «anticomunista».