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Il poliziotto bianco morto a Dallas per salvare quattro bimbi neri. Nessuno lo celebra, facciamolo noi
NEWS 14 Luglio 2016    

Il poliziotto bianco morto a Dallas per salvare quattro bimbi neri. Nessuno lo celebra, facciamolo noi

di Federica Dato

 

La verità è che è troppo anche solo da immaginare. Non puoi figurarti d’essere in mezzo alla strada con i tuoi figli e che qualcuno spari loro addosso, che vi spari addosso. Una madre ha una classifica chiara di quel che non può permettere che accada, per se stessa, per istinto naturale, per amore: l’atto innaturale di seppellire il proprio sangue, quel bimbo dolcissimo che ha allattato e accudito e protetto, non è ammissibile; lasciarlo orfano viene subito dopo; evitare in ogni modo di morirgli davanti precocemente e in modo violento sta al pari della seconda. Per te, per lui, per istinto. Shetamia Taylor da sola non avrebbe potuto impedire l’orrore e solo l’idea potrebbe bastarle per impazzire. Perché lei, afroamericana di trentasette anni è madre di cinque figli. A Dallas in strada c’è scesa in modo pacifico. Quattro dei suoi ragazzi le erano accanto, «gli ho detto che se fossero stati fermati dalla polizia, per qualsiasi motivo, dovevano essere rispettosi con gli agenti. Gli avevo spiegato che andavamo a dimostrare a tutti che possiamo essere uniti e siamo in grado di organizzare una marcia pacifica». All’improvviso gli spari, le urla, il rumore assordante. Il primo pensiero dev’essere stato per forza “i bimbi”, che tali non sono più ormai tutti tra i dodici e i diciassette anni. Tre di loro non li vede più, li ha persi. Viene colpita a una gamba, Andrew, quindici anni, le è accanto. I proiettili sfrecciano intorno a loro. Il dolore arriva alla testa ma è niente, perché non è finita, la guerriglia va avanti. Si nascondono come possono dietro un auto, impotenti. Shatemia e Andrew. Lei che non può salvarlo dall’inferno, lei che non può ammettere il suo bambino sia lì, preda di cecchini folli. Secondi infiniti in cui non c’è tempo per gli addii.

Lui è lì, gli altri dove saranno, saranno vivi? I poliziotti li vedono esposti, in mezzo al fuoco. Uno di loro, corpulento e pelato, bianco, salta loro addosso facendogli da scudo umano. E viene trivellato. Ammazzato. Li ha protetti, morendo per questo. Il fuoco non s’è ancora fermato. Non c’è più fiato, la vita si ferma, per chi resta e chi è appena andato. Madre e figlio lo guardano morire sapendo che quella sorte, senza lui, sarebbe toccata loro. E ancora non sanno se quel sacrificio sarà bastato. Chi sparava pare lo facesse in nome dei neri, perché la polizia bianca smettesse di ammazzarli (nonostante le statistiche dicano che il problema della presunta violenza della polizia non ha a che fare con l’essere black, toccati da quello che è un problema Usa “solo” nel 30% dei casi). Per vendetta. La verità è che non ci sono motivazioni reali, giustificazioni adducibili a una mattanza indigeribile. E lei è li, a guardare Andrew pregando resti vivo o forse neppure. E gli altri tre ragazzi, i suoi ragazzi scoprirà solo dopo che stanno bene. Degli agenti dice che «sono stati degli eroi», quel tipo di eroi che però sappiamo celebrare poco, troppo poco. Ferita e grata Shatemia torna a casa, con tutti i suoi figli. A quel poliziotto deve più del tutto. In altre case, invece, quello stesso uomo non tornerà, quelle in cui era padre, fratello, figlio, amico.