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La censura dei social vale per tutti?
NEWS 13 Settembre 2019    di Raffaella Frullone

La censura dei social vale per tutti?

«Le persone e le organizzazioni che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base di chi sono non trovano posto su Facebook e Instagram». Con queste motivazioni i social network di Mark Zuckerberg hanno bloccato le pagine di Casapound e Forza Nuova, nonché le pagine personali dei loro leader e dirigenti principali. «Abbiamo una policy sulle persone e sulle organizzazioni pericolose – spiegano – che vieta a coloro che sono impegnati nell’”odio organizzato” di utilizzare i nostri servizi». Nel mirino dunque non uno o più post specifici attribuiti ai due partiti politici, bensì un generico riferimento “all’odio organizzato” che però in altri casi sembra essere decisamente tollerato. La pagina Facebook “Odio la Chiesa” ad esempio, è aperta e funzionante, così come le sue sorelle “Armata dei bestemmiatori, “Bestemmia spontanea quando l’autoradio si sintonizza su Radio Maria” e simili amenità.

Intanto la scure del colosso californiano sembra avanzare in altre direzioni. Proprio ieri quattro senatori repubblicani hanno scritto a Facebook affinché venga rimossa la censura ingiustamente applicata a Live Action, una delle più importanti organizzazioni pro life americane, e alla sua fondatrice Lila Rose. Come lei stessa ha spiegato, i “fact checkers” di Facebook hanno segnalato in particolare un video postato che conteneva la frase «l’aborto non è mai medicalmente necessario» accusando Live Action di «diffondere fake news». Non è certo la prima censura per Lila Rose che è stata praticamente bannata da Pinterest appena dopo averci messo piede finendo in una paradossale “porn list”; Live Action è stata inoltre bannata da Twitter per oltre tre anni; dopo avere chiesto ripetutamente la ragione del ban e aspettato una risposta per oltre un anno, l’organizzazione pro life si è sentita dire che avevano violato la “policy di Twitter sull’odio” e che l’unico modo per tornare sulla piattaforma sarebbe stato quello, spiega la fondatrice in una puntata del suo Lila Rose Show, di «rimuovere dall’account tutte le immagini di bambini nel grembo delle mamme, tutti i tweet di critica a Planned Parenthood e tutti quelli che parlano di aborto»: come dire, potete star qui solo se e soltanto se state in silenzio.

Anche in Italia i profili Facebook e Twitter di cattolici, pro life e pro family sono stati più volte bloccati o sospesi, l’ultimo in ordine di tempo è il caso dello shadow ban cui è stata sottoposta la pagina delle Sentinelle in Piedi: in sostanza la pagina rimane visibile ma i suoi contenuti non vengono più proposti sulla bacheca degli iscritti. «Il pensiero unico impone la censura. Noi resistiamo, nella verità», scrivono le Sentinelle che scenderanno in piazza nelle prossime settimane a Como, Trieste e Firenze per dire no al suicidio assistito e all’eutanasia.

Appare sempre più evidente dunque che dietro allo spauracchio dell’odio, i social network non fanno altro che silenziare chi non è in linea con il loro pensiero. Facebook non è una piattaforma neutra di libertà, lo dimostra il fatto che ci sono 58 “identità di genere” tra cui poter scegliere. Anche in rete dunque, come nel mondo reale, le piattaforme che fanno della tolleranza e della democrazia le loro bandiere, gettano la maschera: il servizio è gratuito, basta appaltare a loro il pensiero e la coscienza.


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