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La preghiera di un missionario ai confini del mondo per il piccolo Loris e sua madre Veronica
NEWS 22 Dicembre 2014    

La preghiera di un missionario ai confini del mondo per il piccolo Loris e sua madre Veronica

Don Antonello Iapicca fa il missionario in un angolo remoto del Giappone. E sul web…

Don Antonello ha un passato, e ora se ne vergogna pur senza rinnegarlo perché per lui il male antico è stato occasione di bene nuovo. Davanti alla cronaca, sempre più cruda e crudele, davanti a tante e troppo parole di circostanza, con l'orrore che si fa storia quotidiana, don Antonello ha provato a incontrare gli occhi di Veronica, mamma del piccolo Loris morto ammazzato. E si è fatto delle domande, cui solo Il Signore sa dare risposte e una consolazione che non cancella affatto, mai, il dolore.

Eccone alcuni passi importanti.

In una comunità concreta, nell’ascolto della parola di Dio, la frequenza ai sacramenti, la comunione con fratelli simili a me nei quali potevo contemplare l’opera di Dio, e la guida sicura e buona della Chiesa, dei pastori e dei catechisti, avevo trovato la Madre da sempre desiderata e cercata. E così ritrovavo mia madre naturale, quella che avevo rinnegato, odiato, perduto. L’ho trovata scoprendomi io peccatore, io ingiusto, incapace di amare laddove il demonio mi mostrava solo rifiuto. Incapace di perdonare, perché avevo accettato, liberamente e al netto di ogni condizionamento, la sua menzogna. Come Adamo ed Eva, per questo esuli in una valle di lacrime. L’abbandono, il rifiuto, l’ingiustizia, la storia difficile? Tutte scuse per legittimare la “scelta armata”, parole come molotov prima, e gesti come mitra saettanti poi, per lottare contro le ingiustizie. Certo ho sofferto, eccome, ma il male vero, quello che fa fare il male, era dentro di me. Il dolore vero, inarrestabile e incontrollabile, veniva da lì, dal mio cuore, non dai fatti della mia storia. Non da mia madre. Perché anche lei era senza luce; come me e certo meno di me, era una peccatrice, debole, e ha fatto quello che poteva fare. Liberamente, sbagliando, come una peccatrice, ma madre, che mi ha amato con quel briciolo d’amore che aveva in quei momenti. Lì era presente, invisibile, la mano premurosa di Dio, che aveva saputo infilarsi in quel pertugio sottilissimo che lei gli aveva lasciato socchiuso. E ora sono qui, vivo, accolto a un anno da una famiglia meravigliosa, che purtroppo ho fatto molto soffrire a causa dei miei peccati.

Ma quando ho conosciuto e sperimentato l’amore di Dio che mi ha perdonato tutto, tutto è cambiato. In quel perdono ho perdonato e chiesto perdono a mia madre. Nel cuore, ovviamente, e da quel giorno non smetto di pregare per lei, perché possa sperimentare lo stesso amore che mi ha salvato. Non so se sia ancora viva, ma di due cose sono certo. Del dolore che l’ha consumata e che ha sicuramente sperimentato quando la coltre di menzogne del demonio si è andata diradando. E che in quel momento, come è accaduto a me, ha di certo incontrato lo stesso sguardo di misericordia di Dio stampato in suo Figlio. Non può essere diversamente, la mia storia, la riconciliazione con i miei genitori adottivi, immagine vividissima del perdono e del potere di Cristo, la vita meravigliosa con loro, il mio essere oggi prete e missionario sostenuto dalla madre che mi ha accolto  che, dopo la morte di papà, è venuta in Giappone con me, tutto è frutto di quella misericordia, e me lo attesta in una certezza granitica.

Non diversa da quella che ho nel vedere il volto di Veronica. Etimologicamente il suo nome significa “portatrice di vittoria”; ma nella tradizione cristiana è il nome di colei che ha asciugato il volto di Cristo sanguinante mentre si dirigeva alla Croce. Veronica, “vera icona”, “vera immagine”. E’ dal suo nome che oggi si affaccia un raggio di luce e di speranza; dalla sua origine più antica dello stesso peccato originale, dal pensiero di Dio che ancor prima della creazione del mondo l’ha amata come una sua figlia che fosse icona somigliante a Lui, che oggi si fa strada lo splendore della bellezza in mezzo a tanta bruttezza. Solo la vittoria di Cristo sulla morte e il peccato può aprire i nostri occhi per riconoscere oggi, tra urla e indignazione, in Veronica la sua vera immagine, quella che il Padre ha impresso in lei da sempre. Immagine di madre, prima di tutto. Come ogni pecora smarrita è guardata e amata dal Pastore buono. Per essersi perduta, ai suoi occhi non ha smesso un istante d’essere parte delle cento del gregge, e per questo, ne sono certo, si è gettato alla sua ricerca. Come per quel padre silenzioso di fronte alla libertà, il figlio prodigo e peccatore è rimasto comunque il suo figlio amatissimo, anche in mezzo al letame dove era precipitato per cercare di sfamarsi. Così Veronica, è, semplicemente, una madre amata da Dio, al quale si è aperta, ed è stato forse uno dei miracoli più belli della sua vita, nel momento in cui ha accolto suo figlio nel grembo. Basta questo? Non sono Dio e non giudico il cuore. Ma so che per me è bastato, perché il mio sguardo sporco e adirato, è stato bagnato e mondato dalla Grazia che ho ricevuto nella Chiesa.

Solo essa, infatti, ha questi occhi puri per trapassare il male e il dolore e scorgere la brace divina che arde in ogni cuore sotto la cenere del male e del peccato. Gli occhi che ha avuto con me. Occhi di Madre, limpidi e misericordiosi come quelli della Vergine Maria. Solo Lei non ha sofferto dolori prima, durante e dopo il parto, perché solo Lei è stata preservata dal peccato, Immacolata nella sua concezione per essere libera di soffrire per amore con suo Figlio; con Lui sino in fondo, accompagnandolo nel dolore con la spada che le spaccava l’anima. Penetravano i chiodi nelle membra del Figlio mentre scendeva amara la lama laggiù, dove ardeva l’amore più puro. Su quella spada era scritto il dolore originale di ogni madre che concepisce nel peccato, per accoglierle tutte nel suo grembo di misericordia. Solo lì, al riparo del suo manto di misericordia, immersa nelle acque pure che hanno gestato il Puro Figlio di Dio, ogni madre può rinascere come Lei, Madre compiuta, per compiere se stessa nel dolore illuminato dall’amore. Per questo, in mezzo ai detriti che gli tsunami agitati dal demonio si lasciano dietro, solo Lei può attirare a sé ogni uomo, con lo stesso annuncio che le consegnò Gesù nel grembo. Anche Veronica, anche tutti quelli che, al colmo della rabbia, giudicano e vorrebbero vendetta, violenta e immediata, o nascosta sotto un paltò di giustizia. Solo nella Chiesa possiamo rinascere immacolati nell’Immacolata, “portatori di vittoria” su ogni morte e dolore, “vere icone” dell’amore che ha vinto anche il peccato più atroce. Solo nella Chiesa possiamo dare carne e spirito al pensiero di Dio su di noi, rinascendo a vita nuova nell’amore: spose e madri, sposi e padri, figli, sacerdoti, creature finalmente immagine somigliante del loro Creatore. Da qualsiasi inferno proveniamo.

Lo crediamo? Perché questa è l’unica, decisiva domanda che l’evento di Santa Croce Camerina ci pone. Crediamo che c’è speranza per ogni madre, per quelle che dentro di noi abbiamo deciso non lo siano più, e per quelle che per qualche lungo o breve momento hanno smesso di farlo? Crediamo che proprio il dolore che marca indelebilmente il loro essere madri, possa diventare, un giorno, la fessura socchiusa ad accogliere la Grazia? Crediamo che il Pastore buono oggi non ha occhi che per la pecora perduta nel dolore, teso chissà come un manto sulla realtà troppo dura da accettare, e che farà di tutto pur di ritrovarla e riportarla a casa? Crediamo che Dio ha il potere di cambiare il lutto, questo lutto così atroce come quello che ci portiamo tutti dentro, in gioia vera e piena? Crediamo che Colui che ha accolto tra le sue braccia la tenera vita di Loris, ha il potere di distenderle di nuovo e abbracciare nella misericordia Veronica, e trasfigurare nella sua risurrezione anche il dolore che la tormenta?