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L’attrice Sally Phillips spiega perchè la sindrome di Down misura la (dis) umanità  della società
NEWS 11 Ottobre 2016    

L’attrice Sally Phillips spiega perchè la sindrome di Down misura la (dis) umanità della società

di Michael Cook (da Notizie Pro Vita)

 

L’attrice inglese Sally Phillips, famosa per aver impersonato Sharon nei film su Bridget Jones, ha fatto un bellissimo documentario per la BBC sulla sindrome di Down.

Lei stessa ha un figlio, Ollie, con la trisomia 21 e la Phillips è convinta che Ollie sia stata una fortuna e una gioia per lei e per la sua famiglia.

È davvero triste che la cultura dominante induca le madri a considerare la diagnosi della sindrome di Down come una catastrofe. Nel Regno Unito il 90% dei bambini Down vengono abortiti, in Islanda il 100%. Tutti: il 100%.

Parlando con esperti, scienziati e persone con la sindrome di Down, l’attrice si chiede: in che mondo vogliamo vivere? E chi vogliamo che viva in esso? E come sarebbe il mondo senza la sindrome di Down?

A un cero punto la Phillips dice, in un momento di commozione, che l’essenza, le caratteristiche delle persone con sindrome di Down sono davvero benigne: e questa positività è una ricchezza che condividono con tutti coloro che li circondano. È un po’ come gli esploratori hanno incontrato il dodo. Un uccello simpatico, curioso, che spunta fuori e ottiene… di essere spazzato via. Perché? Perché non è stato abbastanza sospettoso, né abbastanza violento per questa nostra società.

La Phillips posi spiega la sua preoccupazione per il NIPT (Non Invasive Prenatal Testing) che ormai si diffonde a tappeto per tutto il Paese: un test che dovrebbe essere usato per prevenire, per curare i bambini in grembo, non per eliminarli…

Il documentario è davvero toccante,  dura un’ora ed è in inglese. ma, merita davvero di essere visto. Meno male che c’è qualcuno che ha il coraggio di suscitare simpatia per le persone con sindrome di Down.

Eppure, in qualche rivista à la page, si leggono già critiche distruttive del filmato perché “profondamente anti-choice”: la neolingua, infatti, tende a sostituire “choice“, “scelta”, una parola neutra, anzi con un significato positivo, ad “aborto”, che comunque è un termine giustamente associato all’idea di morte: per stigmatizzare chi è per la vita non si dice più “anti aborto”, che potrebbe suonare “bene”. Si dice “anti choice” che così il disprezzo arriva più “tranquillo”…

Questi commenti sul bel documentario potrebbero fare arrabbiare. Ma pensandoci bene non c’è motivo d’arrabbiarsi: vanno piuttosto compatiti quelli che sono tanto accecati dal’ideologia che non riescono a vedere lo splendore della vita umana.