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L’origine protestante del «capitalismo» è una leggenda dura a morire. San Bernardino la sfata
NEWS 2 Luglio 2015    

L’origine protestante del «capitalismo» è una leggenda dura a morire. San Bernardino la sfata

Circola molta retorica, e troppa ignoranza, sullla cultura della libertà economica che – purtroppo – siamo tutti distrattamente abituati a chiamare, con un termine marxista che pone l'accento solo sulla materialità dei dati aritmetici e non sulle risorse dello spirto umano, «capitalismo». Un «vecchio» articolo ci aiuta però a fare un po' di chiarezza.

 

di Carlo Lottieri

 

Una leggenda dura a morire, magistralmente elaborata da Max Weber in alcune sue celebri pagine, indicherebbe nell’etica protestante la matrice dello «spirito» del capitalismo.

Anche se l’apertura al mercato delle società anglosassoni parrebbe confermare tale schema, in realtà quella tesi è assai fragile, specie si considera il ruolo che negli ultimi secoli del Medioevo giocarono i banchieri e i mercanti delle maggiori città dell’Italia centro-settentrionale e delle Fiandre.

Il fatto, dunque, che in due grandi Paesi cattolici come la Francia e la Spagna si sia avuto il trionfo di un assolutismo chiuso e anti-mercatista, con conseguenze ancora oggi rilevanti, appare più l’esito di una serie di contingenze che non uno sviluppo necessario.
Ben prima di Lutero, insomma, il mercato capitalistico si era imposto in varie parti d'Europa, e certamente sono medievali e tardo-medievali anche alcune tra le riflessioni teoriche più interessanti sul tema. A detta di vari studiosi – da Raymond de Roover a Murray Rothbard – uno degli autori che più ha favorito la comprensione dell'economia libera è stato proprio un santo, Bernardino da Siena, di cui è stata ora pubblicata una raccolta di scritti: Antologia delle prediche volgari. Economia civile e cura pastorale nei sermoni di San Bernardino da Siena (a cura di Flavio Felice e Mattia Fochesato, edizioni Cantagalli, pagg. 240, euro 14).

Nei suoi scritti in lingua latina il grande predicatore toscano ha sviluppato analisi raffinate su fondamentali questioni collocate tra teologia ed economia, anche riprendendo le riflessioni di Pierre de Jean Olivi e aprendo la strada all’insegnamento di sant’Antonino da Firenze. Se per lungo tempo quegli studi sono stati dimenticati, da qualche decennio la prospettiva è cambiata. Soprattutto in Italia e negli Stati Uniti è emersa una nuova storiografia, che rovescia i cliché weberiani.

Come rileva Fochesato nella Prefazione, il ricorrente utilizzo di metafore provenienti dall’attività dei mercanti mostra quanto Bernardino fosse vicino alle esperienze dei suoi contemporanei impegnati nel commercio: non per celebrare l’esistente (e anzi i testi contengono più di un’invettiva contro i vizi dei senesi), ma perché l’amore per l’altro implica in primo luogo uno sforzo di comprensione e partecipazione. Valorizzare le relazioni economiche e celebrare l’iniziativa umana non significa rinchiudere l’uomo entro questo orizzonte. Bernardino mette in guardia dalla tentazione di amare i beni della terra più di quelli del Cielo, ma questo non comporta una perdita di interesse per l’esistenza: è solo un invito a viverla con una diversa intensità. Da qui discende pure una specifica etica degli affari (legata al rifiuto di mentire all’acquirente o contraffare le merci), insieme a un modo davvero peculiare d’intendere la società.
È allora in errore chi considera il capitalismo cattolico come un capitalismo «indebolito», solo perché in questo quadro tutto quanto l’uomo possiede, in ultima analisi, è di Dio stesso e da ciò discende una decisa responsabilità morale a carico dei possidenti.

Nonostante i possibili fraintendimenti, da quell’assunto non viene un’attenuazione del diritto di proprietà: perché il fatto che tutto debba essere orientato a Dio non autorizza nessuno a ignorare i fondamentali principi giuridici (non autorizza a espropriare e derubare). Anche il fatto che la valorizzazione del lavoro creativo operata da Bernardino non sfoci in un’assolutizzazione di tutto ciò non comporta affatto un affievolimento dell’economia libera.
Le esortazioni del santo rinviano invece a un’antropologia ben più ricca di quella che s’è imposta all’interno della scienza economica, dato che gli economisti moderni – in parte per ragioni che si possono comprendere – hanno spesso costruito le loro riflessioni su assunti molto elementari. Queste prediche quattrocentesche ci aiutano a capire come l’ordine sociale da cui è sgorgato il progresso capitalistico di cui tutti siamo beneficiari trovò la propria legittimazione in un quadro di valori dove l’educazione era orientata a fare della persona un soggetto facile alla cooperazione e pronto alla concordia. Lo scenario è quello di uomini che non celebrano le istituzioni giuridiche, ma si limitano a riconoscere in esse le utili condizioni per lo sviluppo di rapporti davvero umani e, senza dubbio, della stessa virtù della carità.

In un bel passo, Bernardino commenta i celebri affreschi di Ambrogio Lorenzetti e sottolinea che soltanto dove la guerra e i conflitti sono evitati è possibile che gli affari si sviluppino: «Voltandomi a la pace, veggo le mercanzie andare a torno, e veggo balli, veggo racconciare le case, veggo lavorare vigne e terre, seminare, andare a’ bagni a cavallo, veggo andare le fanciulle a marito, veggo le gregge de le pecore». L’enfasi sulla pace e sul suo rapporto con il libero mercato è un tema ricorrente nella riflessione teorica degli autori che più hanno valorizzato società libera e commercio: da Montesquieu a Constant, da Cobden a Bastiat, a Spencer e a molti altri. Ma quel nesso era già chiaro nella Siena del Lorenzetti e di Bernardino.