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Se l’utero in affitto non scandalizza più nessuno
NEWS 12 Maggio 2020    di Raffaella Frullone

Se l’utero in affitto non scandalizza più nessuno

Non ha evidentemente destato scandalo quanto raccontato il 7 maggio scorso da Monica Ricci Sargentini sulle colonne del Corriere della Sera: un’agenzia ucraina per la cosiddetta maternità surrogata, la BioTexCom, sul proprio sito ha mostrato le immagini della hall dell’Hotel Venezia a Kiev, struttura collegata all’agenzia, in cui 46 culle con altrettanti bambini erano ammassate l’una accanto all’altra come in una sorta di grande mercato.

Si tratta dei figli delle cosiddette “madri surrogate” ucraine, gestanti a pagamento, si tratta di bimbi commissionati da coppie di Paesi occidentali, tra cui l’Italia. Nel video l’avvocato della clinica, Deniz Herman, si rivolge proprio alle coppie, sollecita i “clienti” ovvero i committenti a rivolgersi ai ministeri degli Esteri dei rispettivi Paesi perché richiedano un permesso speciale in deroga alle regole del lockdown per il “ritiro della merce”, ovvero dei bambini che hanno commissionato, pagato e che ora sono nati. La Sargentini spiega che il caso ha mobilitato la Rete italiana contro l’utero in affitto, che ha scritto all’ambasciatore italiano in Ucraina Davide La Cecilia, e per conoscenza al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, chiedendo che nessun permesso speciale in deroga venisse concesso alle coppie coinvolte poiché in Italia la pratica dell’utero in affitto è reato.

Quasi nessuno sui media mainstream ha ripreso la notizia, e dire che i trasgressori, veri o anche solo presunti, del lockdown in questi mesi sono stati trasformati dagli stessi media in bersagli con cui essere inflessibili. Ma in questo caso non è stato così. Non solo, Repubblica ieri ha dedicato una pagina intera alle cosiddette famiglie arcobaleno nel quarto anniversario dall’approvazione della “legge sulle unioni civili”, evidenziando come in tempi di Covid sia in atto una discriminazione a danno delle coppie formate da persone dello stesso sesso e dai “loro” figli spesso non riconosciuti da uffici anagrafe e tribunali, coppie quindi penalizzate, denunciano, ancor più durante l’epidemia.

Si legge nella pagina di Repubblica: «Ci sono, però, per fortuna, anche storie che raccontano un’altra Italia. Giuseppe Cutino, Ivano Iaia e la loro meravigliosa figlia Bianca, nata un anno fa negli Stati Uniti con gestazione di supporto» e portata poi nella loro città, Palermo. «”Non abbiamo avuto nessun problema, anzi è una festa che dura ancora. Sembrava che tutti aspettassero Bianca. Su tutti i suoi documenti ci sono i nostri due cognomi, lo abbiamo voluto anche come atto politico”. Un tassello, “che può contribuire a cambiare il mondo”». «Saremo sempre grati alla portatrice americana che ci ha fatto il dono di Bianca. I nostri figli sono parte della società italiana, possibile che lo Stato si ostini a discriminarli?».

Nessun riferimento viene fatto nell’articolo al fatto che la prima discriminazione è quella di pagare per ottenere un bambino, di commissionarlo, di usare il corpo della madre per la gestazione, di strapparlo dalla stessa. Nessun riferimento al fatto che l’utero in affitto sia in Italia una pratica illegale.

È il processo di normalizzazione che prosegue e che col silenzio complice di tanti permette alle agenzie, dagli Stati Uniti all’India, dal Canada all’Europa dell’est, di continuare a organizzare la compravendita di bambini. Convincendo gli adulti occidentali che il figlio è qualcosa a cui si ha diritto, se serve anche pagando. Come una merce. Un processo che non si ferma, neanche ai tempi del Covid.


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