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Manuale di istruzioni per restare umani
NEWS 16 Giugno 2018    di Giulia Tanel

Manuale di istruzioni per restare umani

È da qualche giorno disponibile il libro Restare umani – Sette sfide per non rimanere schiacciati dalla tecnica (Città Nuova), a firma dello psicologo Marco Scicchitano e del sociologo Giuliano Guzzo. Nel testo i due autori hanno analizzato, ognuno secondo il profilo specifico della propria disciplina, alcuni dei principali aspetti con cui oggi siamo costretti a fare i conti… per “restare umani”.

Il Timone ne ha parlato con lo psicologo Scicchitano.

“Restare umani” è un titolo tra l’auspicio e il monito?

«Sì. Di fatto vogliamo porre una domanda mai posta in termini etici o morali perché il permanere “umani” non è mai stato messo in discussione. Ora invece ci troviamo di fronte a una novità, a una situazione tale per cui è giunto il tempo di porsi la questione. Non è semplice, perché non ci sono risposte preconfezionate su ciò che è necessario fare per preservare l’umano pur continuando ad avanzare nel progresso che l’umanità necessariamente intraprende: apertura mentale, senso di responsabilità, sguardo attento a quanto sta accadendo sono oggi atteggiamenti necessari e che vogliamo stimolare nei nostri lettori, e, speriamo, nella società tutta».

Veniamo quindi al sottotitolo: cosa rimane essenziale di fronte all’avanzare della tecnica?

«La parola che mi preme sottolineare qui è “tecnica”, laddove intendiamo indicare con questa parola la manipolazione che l’uomo è capace di attuare sulla realtà grazie a strumenti e metodologie. Mentre il campo di intervento della tecnica è sempre stato rivolto verso l’esterno dell’umano, ora, grazie all’avanzare delle tecniche e del sapere scientifico, è possibile intervenire fino al più determinante strato vitale, il livello genetico, e per tutta la durata della vita, dal concepimento fino al determinare la morte. Fin dove è lecito intervenire? Cosa ci salva dalle derive che qualsiasi spinta progressista senza mediazione ragionevole rischia di intraprendere? A queste domande cerchiamo di dare una risposta o, quanto meno, un contributo utile alla riflessione personale che auspichiamo ogni individuo debba avere».

Nei sette capitoli di cui si compone il libro trattate macro-argomenti oggi spesso considerati “scomodi”, come il maschile e il femminile, l’aborto, la morte… quale società stiamo costruendo, rincorrendo un sapere e delle tecniche che si rivelano dannose per il vivere?

«La tesi che vogliamo portare avanti io e Guzzo con questo libro è che la società che si rischia di costruire avrà perso di vista l’essenziale di ciò che vuol dire essere umani, rincorrendo un progresso insaziabile e dissolutorio. L’essenziale è l’esperienza dell’amare e dell’essere amati, all’interno di dinamiche evolutive che hanno dei ritmi, di relazioni che hanno bisogno di tempo e qualità, della inesauribile fragilità che connota l’essere al mondo, l’essere creature. La smania di onnipotenza e d’invulnerabilità disumanizza l’uomo».

Per formazione, la tua voce nel libro interessa l’ambito psicologico: se dovessi riassumere lo stato di benessere della società attuale, quale ritratto ne uscirebbe?

«La società occidentale moderna è complessa, parcellizzata e in costante mutamento, incapace di fornire agli individui che la compongono strutture intorno alle quali costruire la propria personalità. L’effetto è devastante, e lo possiamo misurare quantitativamente nel calo demografico, nella prevalenza dei disturbi mentali, nella diffusione delle dipendenze comportamentali anche tra i più giovani».

Un’ultima domanda, per collocarci nel presente secondo una prospettiva rispettosa dell’umano. Nell’introduzione citate papa Benedetto XVI, con la sua enciclica Caritas in Veritate: com’è possibile conciliare il progresso con la nostra natura più profonda?

«Essenzialmente diffidando dalle proposte che assurgono a essere definitive ma che in realtà sono solo deresponsabilizzanti e dai progetti che vorrebbero indicare nel percorso inarrestabile dell’aumentare della padronanza che l’uomo ha sulla natura e sugli elementi del mondo l’unico vettore nel quale riporre le speranze. Rimane invece necessario conservare una posizione che sappia circoscrivere gli ambiti di competenza, in maniera umile. E qui non posso che citare nuovamente Benedetto XVI, nel suo discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze del 2006: “La scienza, tuttavia, pur donando generosamente, dà solo ciò che deve donare. L’uomo non può riporre nella scienza e nella tecnologia una fiducia talmente radicale e incondizionata da credere che il progresso scientifico e tecnologico possa spiegare qualsiasi cosa e rispondere pienamente a tutti i suoi bisogni esistenziali e spirituali. La scienza non può sostituire la filosofia e la rivelazione rispondendo in mondo esaustivo alle domande più radicali dell’uomo: domande sul significato della vita e della morte, sui valori ultimi, e sulla stessa natura del progresso”».


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