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Morto l’attore Gianrico Tedeschi, che con Guareschi guardava a Dio
NEWS 29 Luglio 2020    di Giulia Tanel

Morto l’attore Gianrico Tedeschi, che con Guareschi guardava a Dio

È morto lunedì 27 luglio, a poco più di 100 anni, l’attore milanese Gianrico Tedeschi (foto a lato), che attribuiva la sua vocazione per la recitazione all’internamento subito nel settembre del 1943 perché non aveva voluto aderire alla Repubblica di Salò, divenuto poi soggetto di uno dei suoi ultimi spettacoli: Smemorando.

Nella sua lunga carriera Tedeschi ha lavorato con i più grandi registi (da Luchino Visconti a Luca Ronconi) e ha condiviso la scena con Anna Magnani, Marcello Mastroianni, Domenico Modugno e tanti, tanti altri nomi dello spettacolo italiano. Uomo di teatro, ma anche volto della pubblicità e dei varietà, Tedeschi ha anche prestato la propria voce, sia per la registrazione di un’audiocassetta, sia dal vivo (si veda il video sottostante), per la lettura di La Favola di Natale, racconto musicato che lo scrittore Giovannino Guareschi, padre di don Camillo, scrisse mentre era prigioniero nel lager di Sandbostel e che, parlando del desiderio di libertà, aveva contribuito a tenere alto l’animo di molti internati come lui. «La Favola di Natale, in particolare», sostiene infatti Marco Ferrazzoli, capo ufficio stampa CNR, «unisce al valore poetico quello storico-politico e aiutò molto i compagni di prigionia nella loro resistenza».

Tedeschi e Guareschi si erano conosciuti durante il periodo di prigionia ma, oltre a questa tragica esperienza di vita, ad accumunarli c’era anche la fede in Dio, seppure dall’uno e dall’altro vissuta ed espressa secondo modalità differenti.

In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera nel 2015, in occasione della messa in scena di Dipartita finale scritto da Franco Branciaroli, interrogato dal giornalista su cosa gli avesse dato la forza di sopravvivere al lager, Tedeschi rispondeva: «La fede. Io sono credente e cattolico. Di fronte alle apocalissi della civiltà ho provato dolore, impotenza, compassione. Mai disperazione. Non quella vera, quella nera, che portò qualche nostro compagno a buttarsi sul filo spinato di recinzione per farsi uccidere dalle guardie». Per poi affermare anche che «la voglia di vivere è sempre più forte. E la bellezza è l’ultima barriera contro il nulla». È infatti il bello, che sarebbe forse più corretto scrivere con l’iniziale maiuscola, a salvare l’umanità, anche nei momenti più difficili: «Non abbiamo vissuto come i bruti», affermerà Guareschi in riferimento alla prigionia. «Non ci siamo rinchiusi nel nostro egoismo. La fame, la sporcizia, il freddo, le malattie, la disperata nostalgia delle nostre mamme e dei nostri figli, il cupo dolore per l’infelicità della nostra terra non ci hanno sconfitti. Non abbiamo dimenticato mai di essere uomini civili, con un passato e un avvenire».

E così, al motto divenuto poi celebre «Non muoio neanche se mi ammazzano», Tedeschi e Guareschi – anche qui, ognuno a modo proprio – hanno trovato nell’espressione artistica una valvola di sfogo, un appiglio al futuro, ma soprattutto un ancoraggio alle cose che contano davvero: in un momento in cui l’umanità stava dando prova del lato peggiore di sé e in cui la loro esistenza era appesa a un filo hanno avuto modo di guardare al senso della vita con verità e, laddove qualcuno si lasciava andare alla disperazione e alla rabbia contro un Dio che non interveniva, loro hanno saputo mantenere alta la speranza in Colui che tutto sa.


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