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Nel 2018 in aumento i cristiani uccisi per la loro fede: oltre 3.000
NEWS 28 Dicembre 2018    di Ermes Dovico

Nel 2018 in aumento i cristiani uccisi per la loro fede: oltre 3.000

Come da profezia di Gesù («Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi»), le persecuzioni continuano a essere una realtà estremamente attuale per il cristianesimo, tant’è che il 2018 è già indicato come perfino più cruento – in termini di cristiani uccisi per la loro fede – dell’anno precedente. A rivelarlo è Cristian Nani, direttore in Italia di Porte Aperte (Open Doors), associazione che pubblicherà il suo rapporto annuale sui cristiani perseguitati il 16 gennaio.

CRESCE IL NUMERO DI CRISTIANI UCCISI (OLTRE 3.000)

In un’intervista con Vatican News, Nani spiega che il 2018 «è stato un anno molto violento; il numero di cristiani uccisi a causa della loro fede probabilmente salirà rispetto al 2017, anno in cui i cristiani uccisi sono stati 3.066». Le stime dicono insomma che si è già superata questa cifra e Nani precisa che «quando ci riferiamo a questi dati in Open Doors consideriamo persone, uomini, donne e bambini, che sono stati uccisi a causa della loro identificazione con Cristo, quindi non stiamo parlando di cristiani uccisi in guerre o carestie o cose di questo genere, ma proprio a causa della loro espressione di fede cristiana. Quindi un’anteprima che posso dare è sicuramente questa: purtroppo c’è un aumento del numero di cristiani uccisi nel corso del 2018». All’origine delle persecuzioni ci sono «principalmente il fondamentalismo islamico e il nazionalismo religioso, come ad esempio in India».

DONNE CRISTIANE «DOPPIAMENTE VULNERABILI»

Anche Marta Petrosillo, portavoce di Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), ha detto che il 2018 conferma la «tendenza drammatica» in fatto di persecuzioni, ricordando tra i molti casi i cinque sacerdoti uccisi in Centrafrica, i sette sacerdoti uccisi in Messico, gli 11 pellegrini cristiani uccisi il 2 novembre in Egitto mentre si recavano a un santuario nell’area di Minya, nonché il calvario di Asia Bibi e della sua famiglia in Pakistan. Rispondendo a una precisa domanda sulla situazione delle donne cristiane, la Petrosillo spiega che «in moltissimi contesti sono doppiamente colpite. Abbiamo rapimenti, stupri e matrimoni forzati in diversi Paesi», tra i quali cita i casi emblematici del Pakistan e dell’Egitto. In luoghi come questi le donne cristiane sono dunque «doppiamente vulnerabili» e «ciò vale, ovviamente, anche per i bambini».

La portavoce di Acs ha poi spiegato che la Chiesa svolge un’azione importante in diversi contesti difficili. «Una suora attiva in Libano con i rifugiati cristiani provenienti dalla Siria mi ha raccontato come un signore musulmano, prima fortemente ostile alla comunità cristiana, abbia iniziato addirittura ad aiutarla. Di storie emblematiche di perdono ce ne sono moltissime da parte dei perseguitati stessi». Tra queste storie c’è quella di Rebecca Bitrus, rapita e violentata da uomini di Boko Haram: «Da uno dei suoi aggressori ha avuto anche un bambino; lei ci ha riferito più volte che nel suo cuore non c’è odio e che ha perdonato, fin da subito, gli uomini che le avevano fatto del male».

NATALE IN SIRIA, PADRE KARAKACH: «RINGRAZIAMO IL BUON DIO»

«Questo è il primo Natale che viviamo dopo le violenze, il primo Natale che viviamo in sicurezza, senza paura di mortai, di atti terroristici. Quindi si respira un clima veramente molto positivo e gioioso. Le celebrazioni sono ovunque, gente per le strade, nei mercati, anche le piazze della città sono abbellite. […] le maggiori citta siriane vivono questo clima positivo e quindi ringraziamo il Buon Dio perché finalmente riusciamo a tornare alla normalità», ha detto il francescano Bahjat Elia Karakach, parroco e superiore a Damasco del convento dedicato alla Conversione di San Paolo, intervistato da Vatican News.

NATALE IN IRAQ, LA NASCITA DI CRISTO DIVENTA FESTA NAZIONALE

È noto che in Iraq la presenza cristiana si è drammaticamente ridotta in seguito alla guerra e all’ascesa dell’Isis (oggi ridimensionato), ma in questi giorni – sebbene come in Siria permangano difficoltà, specie per il ritorno dei cristiani costretti a fuggire – è arrivata una buona notizia: il governo iracheno ha approvato un emendamento alla legge sulle festività nazionali, che «eleva il Natale al rango di celebrazione pubblica per tutti i cittadini, cristiani e musulmani», come riferisce Asia News. L’esecutivo ha raccolto quindi l’appello del cardinale Louis Raphael Sako, che aveva chiesto proprio che il Natale diventasse una «festa ufficiale in Iraq […] in considerazione del rispetto che i fratelli musulmani hanno di Cristo». E così, dopo l’emendamento che si sofferma sulla «nascita di Gesù Cristo», il 25 dicembre il governo ha diffuso un messaggio via Twitter per augurare «Buon Natale a tutti i nostri cittadini cristiani, a tutti gli iracheni e a quanti festeggiano nel mondo».

NATALE IN AFGHANISTAN E IL «DOVERE DI DARE UNA TESTIMONIANZA» CRISTIANA

«Il Natale in Afghanistan è una festa un po’ particolare, non è condivisa dalla popolazione locale, che è nella totalità musulmana. Quindi è una festa che riguarda esclusivamente i cristiani, che sono solo stranieri». Così il barnabita padre Giovanni Scalese, superiore della missione cattolica in Afghanistan, spiega a Vatican News la situazione nel Paese controllato in discreta parte dai talebani. «Molti di coloro che fanno parte della nostra comunità cristiana e che frequentano regolarmente la Chiesa, in queste occasioni tornano a casa per celebrare la festa con le loro famiglie; però ci sono altri che rimangono per tanti motivi e che in queste occasioni partecipano alle celebrazioni. Per noi è molto importante, perché proprio in questi momenti si prende maggiore consapevolezza della propria identità, di ciò che siamo. Il fatto di celebrare la nascita di Cristo significa per noi ricordarci che siamo cristiani e quindi anche quel dovere di dare una testimonianza».


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