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Nell’inferno siriano per testimoniare Cristo a ogni costo. La grande avventura di quattro monache pisane
NEWS 3 Aprile 2014    

Nell’inferno siriano per testimoniare Cristo a ogni costo. La grande avventura di quattro monache pisane

Azeir è un piccolo villaggio maronita, a metà strada fra Homs e Tartus, al confine settentrionale fra la Siria e il Libano. In lontananza, quel profilo azzurrino, meno arrotondato e più svettante di quelli intorno, è il Krak des Chevaliers, l’antico castello crociato. Per due anni occupato dai jihadisti di Jabhat al Nusra, che vi sgozzavano i prigionieri nella piazza d’armi e poi collocavano le teste decapitate in cima alle torri. È qui che da tre anni e mezzo vivono quattro monache cistercensi italiane, Marta, Marita, Adriana e Rosangela, che il loro monastero se lo sono costruite da sé.

Vengono dal monastero di Valserena, in provincia di Pisa. Hanno vissuto per un certo tempo ad Aleppo. In Siria ci sono sempre stati monasteri ortodossi, soprattutto femminili, ma cattolici non ce n’erano più da parecchio tempo. Benché nei cattolici siriani fosse rimasto vivo il desiderio di esperienze di vita contemplativa. Ma la ragione per cui delle monache italiane hanno attraversato il mare e sono venute qui, e sono rimaste anche quando i tempi si sono fatti duri, è fondamentalmente un’altra.

Nel refettorio di quello che per ora è l’edificio principale del monastero (ma il progetto è di farne la foresteria e di costruire un altro fabbricato per il capitolo, il dormitorio, la biblioteca, la chiesa, ecc.) su un tavolo si scorge un libro: Christian de Chergé: une biographie spirituelle du prieur de Tibhirine. «Questa presenza monastica è il risultato della riflessione iniziata nel nostro ordine, nel ramo femminile come in quello maschile, sulla vicenda del monastero di Tibherine, in Algeria», commenta Marta, la priora. A Tibherine, in Algeria, nel marzo del 1996 sette monaci trappisti cistercensi dell’abbazia di Nostra Signore dell’Atlante furono prelevati da presunti combattenti islamici e uccisi qualche tempo dopo. Un comunicato attribuito al Gia, il Gruppo islamico armato, quasi due mesi dopo il rapimento annunciò che erano stati sgozzati. I loro corpi non sono mai stati ritrovati: solo le teste decapitate.
Ma il sangue dei martiri è il seme dei nuovi cristiani, diceva il padre della Chiesa Tertulliano. E in Siria oggi se ne vedono già i frutti.

Uno spaccato starordinario su queste “monache di frontiera” che hanno un solo obiettivo: «Siamo qui per far conoscere Cristo, a qualunque prezzo».

La loro storia – scritta da Rodolfo Casadei, inviato di Tempi – è la quarta e ultima puntata di un viaggio nell'"altra Siria" che nessuno ci racconta. Ecco le precedenti: