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Nome di battaglia Bisagno
NEWS 25 Aprile 2019    di Giuliano Guzzo

Nome di battaglia Bisagno

Non c’è probabilmente modo migliore di affrontare il 25 aprile che quello di ricordare gli eroi della Resistenza. Quelli veri, però. Come Aldo Gastaldi (1921–1945), il maggior esponente del movimento di Resistenza operante a Genova nonché una delle figure più fulgide della lotta di liberazione. Oltre che eroica, la figura di Gastaldi – che prese il nome di battaglia dall’omonimo torrente, il Bisagno appunto, che attraversa la città di Genova, e che morì giovanissimo, a soli 24 anni – fu contrassegnata anche da una salda fede cattolica. Per questo il Timone ha deciso di ricordare il comandante Bisagno scambiando due parole con il nipote, che si chiama come lui, Aldo Gastaldi.

Gastaldi, nell’epistolario intrattenuto con la famiglia durante la Seconda Guerra Mondiale, emerge con forza la fede di suo zio. Ce ne può parlare? «Volentieri. Fin dalla fine della guerra, la nostra famiglia ha conservato tutte le lettere di Aldo. In queste lettere emerge chiaramente un giovane che ha quale unico riferimento nella vita Cristo. Una fede che egli visse in famiglia e grazie al padre ma, soprattutto, alla madre, Maria Lunetti, la quale trasmise appunto la fede con l’esempio, silenziosamente, con la testimonianza. Questa fede, dalle lettere, emerge in modo delicato ma al tempo stesso forte e deciso. Basti pensare che si riferisce a Dio – testualmente – come “unica guida”. In un’altra lettera, quando aveva 22 anni, scrisse: “Non trovai nessuno, sulla terra, che potesse darmi giustizia e pace. Ma trovai l’una e l’altra in Dio. Con Lui ho compreso che la gloria terrena è effimera e passeggera, mentre la gloria di Dio è eterna”. Ma in quasi ogni sua lettera, in realtà, emergeva il riferimento al Signore e a Maria Santissima e a come fossero per lui delle guide».

Ai suoi uomini, più che comandante, Gastaldi appariva un padre. Come mai? «Questa è una domanda a cui non è facile rispondere. Le posso dire quello che è emerso dalle parole degli uomini che dopo più di 70 anni abbiamo intervistato. Uomini che tutti – indistintamente – si sono commossi, ricordando appunto il loro comandante come un padre. Sembra assurdo, eppure si tratta di persone di oltre 90 anni che a tutt’oggi affermano di aver imparato tanto da un ragazzo di appena 22, 23 anni. Questo perché Aldo era un ragazzo di un carisma molto particolare, direi unico, che infondeva sicurezza. “Aveva fermezza e dolcezza”, come diceva la poetessa Elena Bono che tanto si è occupata di lui. Era inoltre visto come un padre perché come un padre si prendeva cura dei suoi uomini».

E verso i nemici? Qual era l’atteggiamento di suo zio? «Bisagno si distinse nettamente dalla vulgata data negli anni sul “nemico fascista”. Tanto è vero che in una sua lettera ebbe a dire che chiunque si fosse detto apertamente fascista e fosse stato catturato non doveva essere fucilato. Per lui prima venivano anzitutto la persona umana, il rispetto per la vita e la liberà, che però concepiva come strettamente legata alla verità. Per farle capire meglio il modo con cui guardava il nemico, le faccio un esempio: una volta era stato organizzato un agguato, da parte dei partigiani, a degli alpini che combattevano con i fascisti. Ebbene, lui fermò tutto spiegando, a chi gli chiedeva il perché di quell’ordine, che “anche loro avevano una madre a casa che li aspettava”».

Pur amato dai suoi, Bisagno era tuttavia un partigiano scomodo. Per quale motivo? C’entra anche la sua fede cattolica? «Era scomodo perché non era inquadrabile politicamente. Quando infatti uno appartiene ad uno schieramento politico ha da difendere una determinata idea a prescindere. Ebbene, Aldo non volle mai avvicinarsi ad alcun partito perché si era accorto – e lo scrisse chiaramente in una lettera – che la politica divide e lui voleva l’unità. Un’aspirazione che riuscì a coltivare grazie al suo essere cattolico e al suo considerare, al di là delle ideologie politiche, quello che è il solo, vero orizzonte di libertà, ossia Cristo. Fu inoltre scomodo non solo perché non era inquadrabile politicamente, ma anche perché si oppose alla politicizzazione della Resistenza».


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