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P. Bortkiewicz su Amoris laetitia: chiediamoci perchè Paolo VI scrisse un’enciclica come Humanae Vitae
NEWS 3 Maggio 2017    

P. Bortkiewicz su Amoris laetitia: chiediamoci perchè Paolo VI scrisse un’enciclica come Humanae Vitae

di Luiza Dolegowska

da La Nuova BQ

 

La seguente intervista a padre Pawel Bortkiewicz è uscita su “Fronda.pl”. Nato nel 1958, padre Bortkiewicz è sacerdote della Società di Cristo per gli Emigrati della Polonia. Teologo morale, è stato preside della Facoltà di Teologia dell'Università Adam Mickiewicz di Poznan e attualmente, tra i vari incarichi, è membro del Comitato teologico dell'Accademia polacca delle scienze e del consiglio consultivo del Centro Giovanni Paolo II "Non abbiate paura" a Cracovia.

I cattolici di tutto il mondo seguono Papa Francesco come capo della Chiesa cattolica. A volte, tuttavia, è possibile trovarsi in disaccordo con le parole del Pontefice, in particolare per quanto concerne le interpretazioni dei concetti e delle espressioni utilizzate nelle Esortazioni e negli insegnamenti papali, quali emergono in documenti come l’Amoris Laetitia. È giusto dire che tali considerazioni hanno soprattutto a che fare con l’interpretazione di espressioni come “coscienza”, “tolleranza”, “ministero pastorale” e “discernimento”?

Vorrei cominciare osservando che le preoccupazioni riguardanti l’attuale insegnamento sono tutt’altro che marginali. Una delle loro espressioni più esauriente la si trova nei cosiddetti dubia, i “dubbi” posti dai quattro cardinali. Meissner, Brandmüller, Caffarra e Burke hanno formulato i loro dubbi sui temi fondamentali: come conciliare per esempio i suggerimenti del capitolo VIII dell’Esortazione papale con l’attuale insegnamento della Chiesa, in particolare come è chiaramente e vividamente presentato nell’enciclica di Giovanni Paolo II Veritatis splendor e nel Catechismo della Chiesa Cattolica.

Per dirla con una battuta, in questa discussione ci sentiamo in buona compagnia. E vorrei subito precisare che non si tratta di un gruppo di eretici contro il Papa, ma di persone preoccupate per la fede della Chiesa e per il suo messaggio.

I sostenitori di Papa Francesco sottolineano che il suo pontificato ha carattere pratico e pastorale. Essi affermano che dopo il “Papa filosofo” [Giovanni Paolo II] e il “Papa teologo” [Benedetto XVI], finalmente abbiamo un Papa “Direttore spirituale”, il quale, secondo il miglior insegnamento gesuita, conduce l’uomo a Dio attraverso le vie tortuose del presente. Dietro tali considerazioni percepisco un velato disprezzo nei confronti della filosofia e della teologia. E questo mi lascia molto amareggiato, per non dire di peggio…

Vorrei partire dal problema della cura pastorale, che sembra essere il valore fondante del pontificato di Francesco. Molti dei suoi apologeti lo considerano il Papa finora più fedele al Concilio Vaticano II. Del resto non è stato il Concilio a promuovere la linea pastorale nella Chiesa? Si ripete spesso che il Concilio ha rinunciato alle definizioni nette e ai classici anatemi (anathema sit) proprio per dare alla Chiesa un profilo altamente pastorale.

Sì, questo è vero. Tuttavia sarebbe necessario guardare al Concilio nella sua interezza, prestare attenzione a tutti i suoi documenti. Così si scoprirebbe che accanto alla celebre Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, abbiamo anche una Costituzione dogmatica, la Lumen Gentium. La Chiesa, dandosi un orientamento pastorale, non ha rinunciato alla dottrina: non ha abbandonato la verità in nome del pragmatismo.

Quelli che si illudevano del contrario, dovettero ricredersi quando Paolo VI pubblicò la Humanae vitae. Per dirla in breve: se Paolo VI fosse stato guidato esclusivamente da necessità pastorali, egli avrebbe potuto sostenere che in talune situazioni, quando lo impongono le condizioni economiche o lavorative della famiglia, oppure quando si tratta di salvaguardare il vincolo coniugale, allora è possibile ricorrere alla contraccezione pur di salvare l’amore, dopo il discernimento con il proprio direttore spirituale.

Paolo VI però non avrebbe potuto scrivere una cosa del genere, dal momento che preferì rimanere fedele allo Spirito di Verità, e non allo spirito dei tempi. Nelle questioni di fede e morale egli fu realmente anticonformista, anche se il suo atteggiamento gli costò un incredibile ostracismo, persino tra i fedeli.

Forse Paolo VI ha posto l’attenzione su coscienza e discernimento meno di quanto non abbia fatto Papa Francesco?

Si tratta di una questione estremamente importante, una questione di coscienza, a cui si riferisce l’Autore di Amoris laetitia. Per esempio, nel paragrafo 36 [recte: 37] dell’Esortazione il Papa scrive: “Stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle”.

Ovviamente siamo tutti d’accordo sul fatto che si debba seguire la voce della coscienza. L'insegnamento della Chiesa, confermato nel Catechismo, rileva che si dovrebbe ascoltare la voce della coscienza anche se completamente sbagliata.

Si tratta di un testo interessante, di non semplice comprensione. In breve, se l’insegnamento della Chiesa insiste molto sulla coscienza, è perché le riconosce un doppio livello. Tecnicamente, noi distinguiamo “coscienza attuale” (quella che assume le scelte morali attuali) e “coscienza abituale”, che è la capacità, la tendenza costante a fare delle scelte. Secondo la tradizione filosofica e teologica, questi due ambiti sono definiti sinderesi e sineidesi. Ratzinger ha proposto di indicare quest’ultimo concetto con il termine greco di anamnesi, nel senso di “ricordare” e “aver ben presente”.

Forse lei e i suoi lettori si sentiranno un po’ in difficolta con tutta questa “teoria”, così lontana dalla concretezza e dal pragmatismo di Francesco. Perciò proverò a fare un esempio pratico. Queste formule e concetti indicano che la coscienza è complessa. La coscienza attuale è quella che può essere influenzata dalla cultura, dalla propaganda, dalla moda, dallo spirito dei tempi. Ma c’è un livello che conserva la memoria del bene e del male, una conoscenza elementare, persino ovvia. Questo tipo di conoscenza è espressa, per esempio, nell’idea che la fedeltà è una cosa buona, mentre l’adulterio è cattivo, perciò bisogna essere leali e non commettere adulterio. Il ruolo della coscienza è quindi quello di riconoscere la verità del bene.

Tutto ciò può essere espresso in modo più semplice, e anche più bello, con le parole del Concilio, le stesse ripetute da Giovanni Paolo II: “Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa questo, evita quest'altro. L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell’uomo, e secondo questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità” (Gaudium et spes, n. 16)

Possiamo notare che la coscienza non dipende da se stessa, non crea le norme morali a seconda delle situazioni più suggestive. Riconosce la verità del bene, accetta la voce di Dio e segue tale voce nella vita reale. Dato che Egli ha detto “Quello che Dio ha congiunto l’uomo non separi”, il compito della coscienza è di attuare questa verità nella vita.

Purtroppo il Papa non specifica, in alcun testo o esortazione, di quale coscienza stia parlando: di quella che ascolta la voce di Dio e dialoga con Lui nell’obbedienza, o di quella che discute con se stessa.

Sì, ma lei stesso ha appena citato un’affermazione del Papa, che si chiude così: “Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle”. Il Papa consiglia insistentemente di “accompagnare” e “discernere”.

È vero, ma in nessuno luogo c’è un’indicazione precisa su come condurre tale formazione. Nel 36° paragrafo dell’Esortazione, il Papa afferma, in modo critico, che “abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario”.

È un passaggio curioso. Ci troviamo di fronte a una critica della presentazione del matrimonio come un “ideale”. Non vorrei sembrare malizioso, ma anche se non conosco il metodo di insegnamento adottato in Argentina o Germania (dove Bergoglio non ha completato il suo dottorato di studio), so che nella mia formazione teologica il matrimonio non è mai stato presentato come un “ideale”, ma come un Sacramento. Sono concetti totalmente differenti e ognuno di essi comporta delle conseguenze.

Purtroppo in tutto lo scritto il Papa si confronta criticamente con questo “ideale” della Chiesa: ma, per quanto possa sembrare sconcertante, egli in realtà sta parlando proprio del Sacramento!

Secondo problema (direttamente collegato alla sua domanda): in opposizione al cosiddetto “ideale”, il Papa pone situazioni e possibilità concrete, dalle quali la coscienza dovrebbe essere guidata. Questo stato di cose è già stato riconosciuto dalla Chiesa come “etica della situazione” e criticato in epoca preconciliare.

Temo che, a causa dello stile vago e impreciso dell’Esortazione, qualcuno possa convincersi che in qualche situazione difficile la validità della legge morale possa essere sospesa in coscienza. E che, in tale difficile situazione, persino il direttore spirituale potrebbe appoggiare la decisione. È chiaro, non deve per forza andare così; però al momento nessun direttore spirituale potrebbe assecondare il Papa e il suo insegnamento affermando che “Non si può avere la moglie del proprio fratello e accedere alla comunione. Non si può e non si deve, perché Dio e la Chiesa dicono così”. Sì, Dio dice ancora questo. E così ha sempre detto la Chiesa fino a Benedetto XVI. L’insegnamento attuale è molto impreciso e poco chiaro. Da qui i nostri dubia, i “dubbi”. Siamo in una situazione davvero difficile, ma siamo in buona compagnia: almeno su questo non ho alcun dubbio.

(Traduzione di Roberto Manfredini)