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«Pace e bene» è da sempre il saluto francescano. Ma noi ne conosciamo davvero il perchè?
NEWS 14 Luglio 2015    

«Pace e bene» è da sempre il saluto francescano. Ma noi ne conosciamo davvero il perchè?

Francesco nasce ad Assisi tra il 1181 e il 1182 e fino al suo venticinquesimo anno di età è promotore di feste e scorribande. Era un uomo che cercava di eccellere sugli altri con grande ambizione e prepotenza; viveva nel peccato, soddisfaceva tutte le tendenze giovanili senza freni e sprovvisto di autocontrollo, era agitato dal veleno dell'antico serpente. Visse una giovinezza cruenta e violenta, al punto tale che partecipò anche alla quinta crociata.
Tra il 1198 e il 1200, dopo la morte dell'imperatore Enrico VI (1197) i popolani delle arti distrussero la rocca imperiale di Assisi e assalirono le case fortificate dei nobili. Francesco decise allora di partecipare alle guerra tra Assisi e Perugia e armò nuovamente la sua mano con una spada che questa volta si sporcò di sangue. Tra i l202 e il 1203 le milizia assisane furono sconfitte a Collestrada, durante questa battaglia Francesco venne imprigionato e solo un anno dopo potè ritornare ad Assisi.

Egli era un giovane che sognava armi e cavalieri e una notte venne vistato dal Signore che: “sapendolo bramoso di onori, lo attira e lo innalza ai fastigi della gloria con una visione'. Chiamatolo per nome lo condusse nello splendido palazzo di una bellissima sposa pieno di armature e scudi splendenti” (Leggenda dei tre compagni datata 1276). Francesco credeva fosse un presagio, immaginava, infatti, di diventare un grande principe. Nei giorni a seguire si mise in cammino per la Puglia, ma quando arrivò a Spoleto iniziò a non sentirsi bene e là ebbe un'altra visione: “Francesco espose il suo progetto a chi gli apparse in sogno. E quello: 'Chi può esserti più utile: il padrone o il servo?'. E avendo Francesco risposto: 'Il padrone', quello riprese: 'Perchè dunque abbandoni il padrone per il servo, e il principe per il suddito?'. Allora Francesco domandò: 'Signore, che vuoi che io faccia?'. E la voce: 'Ritorna nella tua città e ti sarà detto che cosa devi fare'”. (1204-1206 cf 3Comp 6-14)

Più tardi Francesco fece altri “sogni” il più eloquente fu: “Il Signore mi rivelò che dicessi questo saluto: Il Signore ti dia pace”, così scrive nel Testamento (1226) e così ripete anche la Leggenda perugina. Il saluto di pace definisce l'identità stessa del frate minore, infatti, sin dall'inizio, lui e i suoi frati s'impegnarono in una predicazione di pace, fino a fare di ciò un tratto distintivo della loro scelta di vita, tanto che nella Regola del 1223 come nella “non bollata” del 1221 compare il monito di Gesù: “In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa”.
Anche Tommaso da Celano nella sua prima biografia (1228-1229) parla della giovane fraternità e di Francesco come ambasciatore di pace: “In ogni suo sermone, prima di comunicare la parola di Dio al popolo, augurava la pace. In questo modo otteneva spesso, con la grazia del Signore, di indurre i nemici della pace e della propria salvezza, a diventare essi stessi figli della pace e desiderosi della salvezza eterna il valorosissimo soldato di Cristo, Francesco, passava per città e villaggi annunciando il regno dei cieli, predicando la pace, insegnando la via della salvezza e la penitenza in remissione dei peccati”. L'annuncio di pace nel racconto di Tommaso da Celano coincide con la nascita stessa della fraternità.

Ritornando al testo della Leggenda perugina, questo saluto appariva abbastanza insolito e suscitava anche perplessità e domande tanto è che uno dei compagni di Francesco chiese al Santo il permesso di cambiarlo, ottenendone questa risposta: “Lasciali dire, perchè non intendono le cose di Dio”. L'annuncio evangelico alla conversione si coniuga con l'invito alla pace, una pace che non deve essere solo proclamata, ma prima di tutto deve essere vissuta e questo lo ritroviamo nella Leggenda dei tre compagni (1276): “La pace che annunziate con la bocca, abbiatela ancor più copiosa nei vostri cuori. Non provocate nessuno all'ira o allo scandalo, ma tutti siano attirati alla pace, alla bontà, alla concordia dalla vostra mitezza. Questa è la nostra vocazione: curare le ferite, fasciare le fratture, richiamare gli smarriti”.

In effetti, la pace fu il tema tema prediletto dal Santo nelle sue predicazioni. Tommaso da Spalato, che vide Francesco predicare a Bologna il 15 agosto 1222, narra che “tutta la sostanza delle sue parole mirava a spegnere le inimicizie e a gettare le fondamenta di nuovi patti di pace. Portava un abito sudicio; la persona era spregevole, la faccia senza bellezza. Eppure Dio conferì alle sue parole tale efficacia che molte famiglie signorili, tra le quali il furore irridibile di inveterate inimicizie era divampato fino allo spargimento di tanto sangue, erano piegate a consigli di pace”.
Al vescovo e al podestà di Assisi insegnò a perdonarsi per amor di Dio, e, infatti, nel Cantico delle Creature (1225) aggiunge la strofa del perdono: “Laudato si', mi' Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore”.
Ai figli della pace Francesco dedica anche una delle sue Ammonizioni (1221), la XV, a commento di una delle beatitudini (Mt 5,9): “Sono veri pacifici quelli che di tutte le cose che sopportano in questo mondo, per amore del Signore nostro Gesù Cristo, conservano la pace nell'anima e nel corpo”. Questa è la vera e perfetta letizia come spiega lo stesso Francesco nel ben noto apologo che potremmo quasi chiosare con le parole di San Paolo nella Lettera ai Filippesi (4,4-7): “Siate sempre lieti nel Signore, sempre; […] Non angustiatevi per nulla […] e la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù”. Quando riscopre Cristo l'uomo trova pace, perchè Egli è la nostra pace. Allora ritrova anche quell'armonia che lo fa capace di lode perenne e il suo cuore cessa di essere un arsenale pronto a esplodere, per divenire un pozzo di misericordia: “Beato quel servo – dice ancora Francesco – il quale non si inorgoglisce per il bene che il Signore dice e opera per mezzo di lui, più che per il bene che dice e opera per mezzo di un altro. Pecca l'uomo che vuol ricevere dal suo prossimo più di quanto egli non voglia dare di sè al Signore Dio”.

Se dovessimo elencare cronologicamente gli episodi che ci portano all'origine del pace e bene francescano potremmo elencare i seguenti passaggi:
1. Il Signore mi rivelò che dicessi questo saluto (1208-1210). Ritroviamo questo passo nel Testamento datato 1226
2. Salute e pace santa nel Signore. State bene nel Signore. Lettera ai Custodi del 1220
3. Per amore del Signore nostro Gesù Cristo, conservano la pace nell'anima e nel corpo. Ammonizioni (1221)
4. In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. Regola non bollata (1221) e Regola bollata (1223)
5. Pace vera dal cielo e sincera carità del Signore. Lettera ai fedeli del 1224

Il Saluto di pace e bene è un saluto che non troviamo negli scritti di Francesco, ma solo nella Leggenda dei tre compagni, non una biografia vera e propria, ma una rilettura della sua esperienza umana e spirituale che si avvicina all'uomo Francesco attraverso le sue emozioni e i suoi desideri. L'episodio si colloca all'inizio della conversione del santo, quando con l'abito succinto, il bastone e i calzari, Francesco “ispirato da Dio cominciò ad annunziare la perfezione del Vangelo, predicando a tutti la penitenza con semplicità”. A questo punto entra in scena un personaggio, di cui il biografo tacce il nome, e che perle vie di Assisi si rivolge a tutti proprio con questo saluto: pace e bene!

Com'egli stesso ebbe a confidare più tardi, aveva appreso da rivelazione divina questo saluto: “Il Signore ti dia pace!”. All'inizio delle sue prediche, offriva al popolo questo messaggio di pace. Fatto straordinario, che ha del miracoloso, egli aveva avuto, prima della conversione, un precursore nell'annunzio di pace, il quale percorreva di frequente Assisi salutando col motto: “Pace e bene! Pace e pane!”. Si formò poi la convinzione che, come Giovanni il Precursore si trovò in disparte appena Gesù cominciò la sua missione, così anche quell'uomo,simile a un secondo Giovanni, precedette Francesco nell'augurio di pace e scomparve dopo l'arrivo del Santo”.

Anche Benedetto XVI, durante l'udienza generale del 12 ottobre 2005, saluta tutti con il “pace e bene “ francescano. Questo l'auspicio di “benedizione sui fedeli che amano la città santa, sulla sua realtà fisica di mura e palazzi nei quali pulsa la vita di un popolo, su tutti i fratelli e gli amici. In tal modo Gerusalemme diventerà un focolare di armonia e di pace”, interrotto da un applauso alle parole “pace e bene” Benedetto XVI continua a braccio commentando: “Tutti abbiamo un'anima un po' francescana”.

Commentando l'invocazione finale del Salmo che augura a Gerusalemme la pace il Papa ha detto che “essa è tutta ritmata sulla parola ebraica shalom, “pace”, tradizionalmente considerata alla base del nome stesso della città santa Jerushalajim, interpretata come città della “pace” come è noto, shalom allude alla pace messianica, che raccoglie in sè gioia, prosperità, bene, abbondanza. Anzi, nell'addio finale che il pellegrino rivolge al tempio, alla “casa del Signore nostro Dio”, si aggiunge alla pace il “bene”: “chiederà per te il bene”. Si ha, così, in forma anticipata il saluto francescano: pace e bene!”