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Quando i Down vogliono dire la loro sul diritto alla vita e il noilluminismo francese vuole zittirli
NEWS 22 Maggio 2017    

Quando i Down vogliono dire la loro sul diritto alla vita e il noilluminismo francese vuole zittirli

Da «Domus Europa»
via «Libertà e Persona»

 

Last Hope for Freedom of Expression of People with Down Syndrome, “L’ultima speranza per la libertà di espressione delle persone affetta da Sindrome di Down”. Sotto questo titolo L’European Center for Law and Justice (ECLI) ha dato notizia del ricorso proposto alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dalla Fondazione Jérome Lejeune contro la decisione del Consiglio di Stato francese, che ha confermato il divieto del CSA (Conseil supérieur de l’audiovisuel) di diffusione televisiva del clip “Chère future maman“.

Il breve filmato, voluto e interpretato da alcuni giovani affetti dalla sindrome di Down con il sostegno della fondazione antiabortista “Jérome Lejeune” e del collettivo “Les amis d’Eléonore”, presenta dei giovani down che raccontano alle future madri la loro felicità di vivere nonostante l’handicap, e fu trasmesso con successo nel marzo 2014 in occasione della “giornata mondiale della trisomia” da alcune catene televisive, che, in quanto a pagamento (pay-tv), per renderlo accessibile a tutti l’avevano inserito nelle inserzioni pubblicitarie, come consentito in Francia per i «messages d’intérêt général ».

Il grande interesse suscitato dal video determinò di lì a pochi mesi l’intervento del CSA, che, pur riconoscendone il positivo contributo alla lotta contro la discriminazione delle persone handicappate, ne vietò l’ulteriore diffusione televisiva, perché, a suo dire, si trattava comunque di un messaggio non d’interesse generale e, in quanto indirizzato a donne incinte, suscettibile di turbare le donne che hanno fatto ricorso all’aborto.

Il Consiglio di Stato, adito dagli interessati, ha riconosciuto che, a differenza di quanto ritenuto dal CSA, la presentazione di un punto di vista positivo sulla vita personale e sociale dei giovani colpiti dalla sindrome di Down (più in generale delle varie patologie connesse al disturbo genetico della trisomia) risponde a un obiettivo di interesse generale. Tuttavia ne ha salvato il provvedimento, con conferma del divieto di programmazione, sostenendo che il CSA col ritenere “inappropriata” la trasmissione del video nel quadro delle inserzioni pubblicitarie.non aveva commesso, nell’esercizio dei suoi poteri, “alcun errore di qualificazione giuridica né alcun errore di diritto”.

Di qui la decisione della Fondazione Jérome Lejeune di rivolgersi, con l’assistenza di Eclj, il 9 maggio alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. La tesi è che la duplice decisione limita la libertà d’espressione (art. 10 Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo) dei giovani affetti dalla sindrome di Down, che per di più vengono in quanto tali discriminati, perché tale limitazione, impedendogli di fare conoscere alla società la realtà e i problemi della loro esistenza in conseguenza dell’alterazione del loro genoma viola l’art. 14 della Convenzione (“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza. Il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita e ogni altra condizione”).

Difficile fare previsioni sull’esito in un mondo nel quale residuano poche tracce dell’antica aspirazione (comunque mai realizzata, ma almeno perseguita) alla certezza del diritto. Nessun dubbio che, nella decisione del CSA sia ravvisabile una palese violazione della libertà di opinione e di espressione, ma, più abilmente. Il Conseil d’Etat con la pronuncia oggetto del ricorso alla Corte si è limitato a parlare di “inappropriatezza” della collocazione del “video” nel quadro delle trasmissioni pubblicitarie. In questo modo la Corte potrebbe ridurre l’impatto di una decisione, altrimenti suscettibile di coinvolgere tutto quell’indirizzo della legislazione francese apertamente impegnata a limitare la libertà di espressione ogniqualvolta entra in contrasto con il dominante pensiero unico, in particolare dopo l’approvazione, il 17 febbraio del corrente anno, della legge che istituisce il delitto di “ostruzione digitale all’aborto” irrogando la pena di due anni di reclusione e 30 mila euro di multa a chi diffonde via web “affermazioni o indicazioni tali da indurre intenzionalmente in errore, con scopo dissuasivo, sulle caratteristiche o le conseguenze mediche dell’interruzione volontaria di gravidanza”.

La questione della discriminazione sembrerebbe più difficile da eludere, perché, a differenza della libertà di opinione, guardata con sospetto per la sua stretta parentela con l’obiezione di coscienza, si tratta di un grave crimine anche per il pensiero unico vigente in tutta Europa e ancor più nella Francia del nuovo Re Sole Macron, che ha preso impegno per la preservazione dei principi e dei valori dell’Illuminismo. Tuttavia qualche timore nasce dal margine di discrezionalità lasciato dall’art. 14 della Convenzione Europea, che non fa espressa menzione delle discriminazioni fondate sulla salute sicché includerla o no nella generica categoria di “ogni altra condizione” spetta ai giudici, che potrebbero trovare motivazioni a sostegno di una decisione diversa, magari per non mettere in difficoltà proprio nel suo paese Macron, il nuovo beniamino d’Europa. Dopo tutto è recentissimo il caso di magistrati che, manipolando lo stesso concetto di “vita”, hanno ritenuto non sussistere il suicidio (e quindi il reato previsto dal codice penale a carico di chi lo agevola) quando la vita dell’aspirante suicida non sia degna di essere vissuta.