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Ratzinger sui motivi delle sue dimissioni. Il Papa emerito intervistato da Elio Guerriero
NEWS 25 Agosto 2016    

Ratzinger sui motivi delle sue dimissioni. Il Papa emerito intervistato da Elio Guerriero

di Elio Guerriero

 

A Roma il cielo è carico di nuvole minacciose, ma quando arrivo a Mater Ecclesiae, la residenza del Papa emerito, un inatteso raggio di sole esalta in basso l’armonia della cupola di San Pietro e dei giardini vaticani. "Il mio paradiso", aveva commentato in una precedente visita Benedetto XVI. Vengo introdotto nella sala che è contemporaneamente la biblioteca privata e mi viene spontaneo pensare al titolo del libro di Jean Leclercq, L’amore delle lettere e il desiderio di Dio, da Benedetto XVI citato nel famoso discorso al Chiostro dei Bernardini a Parigi.

Il Papa arriva dopo qualche minuto, saluta con il sorriso e la cortesia di sempre, poi mi dice: "Sono a quindici". Non capisco, per cui ripete: "Ho letto quindici capitoli". Sono francamente sorpreso. Qualche mese prima gli avevo inviato buona parte del libro, mai mi sarei aspettato che lo leggesse per intero. Gli porgo gli altri capitoli e gli dico che ormai mi manca poco. È contento di quel che ha letto per cui aggiungo: "Le dispiace se le faccio alcune domande a modo d’intervista?". Risponde come sempre, gentile e pratico: "Mi faccia le domande, poi mi mandi il tutto e vediamo". Ovviamente seguo le indicazioni. Qualche tempo dopo mi scrive acconsentendo alla pubblicazione. Non mi resta che ringraziare ancora per la fiducia accordata.

Santità, visitando l’ultima volta la Germania, nel 2011, lei disse: “Non si può rinunciare a Dio”. E ancora: “Dove c’è Dio là c’è futuro”. Non le è dispiaciuto dover lasciare nell’anno della fede?
"Naturalmente avevo a cuore di portare a compimento l’anno della fede e di scrivere l’enciclica sulla fede che doveva concludere il percorso iniziato con Deus caritas est. Come dice Dante, l’amor che move il sole e l’altre stelle, ci spinge, ci conduce alla presenza di Dio che ci dona speranza e futuro. In una situazione di crisi, l’atteggiamento migliore è quello di mettersi davanti a Dio con il desiderio di ritrovare la fede per poter proseguire nel cammino della vita. Da parte sua il Signore è ben lieto di accogliere il nostro desiderio, di donarci la luce che ci guida nel pellegrinaggio della vita. È l’esperienza dei santi, di san Giovanni della Croce o di santa Teresa del Bambino Gesù. Nel 2013, tuttavia, vi erano numerosi impegni che non ritenevo più di poter portare a termine".

Quali erano questi impegni?
"In particolare era già stata fissata la data della Giornata Mondiale della Gioventù che doveva svolgersi nell’estate del 2013 a Rio de Janeiro in Brasile. Ora, a questo riguardo, io avevo due convinzioni ben precise. Dopo l’esperienza del viaggio in Messico e a Cuba, non mi sentivo più in grado di compiere un viaggio così impegnativo. Inoltre, con l’impostazione data da Giovanni Paolo II a queste giornate, la presenza fisica del Papa era indispensabile. Non si poteva pensare a un collegamento televisivo o ad altre forme garantite dalla tecnologia. Anche questa era una circostanza per la quale la rinuncia era per me un dovere. Avevo infine la fiducia certa che anche senza la mia presenza l’anno della fede sarebbe comunque andato a buon fine. La fede, infatti, è una grazia, un dono generoso di Dio ai credenti. Avevo, perciò, la ferma convinzione che il mio successore, così come è poi avvenuto, avrebbe ugualmente portato al buon fine voluto dal Signore, l’iniziativa da me avviata".

Visitando la basilica di Collemaggio all’Aquila, Lei ci tenne a deporre il pallio sull’altare di san Celestino V. Mi può dire quando giunse alla decisione di dover rinunciare all’esercizio del ministero petrino per il bene della Chiesa?
"Il viaggio in Messico e a Cuba era stato per me bello e commovente da molti punti vista. In Messico ero rimasto colpito incontrando la fede profonda di tanti giovani, facendo esperienza della loro gioiosa passione per Dio. Parimenti ero stato colpito dai grandi problemi della società messicana e dall’impegno della Chiesa a trovare, a partire dalla fede, una risposta alla sfida della povertà e della violenza. Non c’è, invece, bisogno di ricordare espressamente come a Cuba restai colpito dal vedere il modo in cui Raul Castro vuole condurre il suo Paese su una nuova strada senza rompere la continuità con l’immediato passato. Anche qui sono stato molto impressionato dal modo in cui i miei fratelli nell’episcopato cercano di trovare l’orientamento in questo difficile processo a partire dalla fede. In quegli stessi giorni, tuttavia, ho sperimentato con grande forza i limiti della mia resistenza fisica. Soprattutto mi sono reso conto di non essere più in grado di affrontare in futuro voli transoceanici per il problema del fuso orario. Naturalmente ho parlato di questi problemi anche con il mio medico, il Prof. Dr. Patrizio Polisca. Diveniva in questo modo chiaro che non sarei più stato in grado di prender parte alla giornata mondiale della gioventù a Rio de Janeiro nell’estate del 2013, vi si opponeva chiaramente il problema del fuso orario. Da allora in poi dovetti decidere in un tempo relativamente breve sulla data del mio ritiro".

Dopo la rinuncia molti immaginavano scenari medievali con porte che sbattono e denunce clamorose. Al punto che gli stessi commentatori rimasero sorpresi, quasi delusi, dalla sua decisione di restare nel recinto di san Pietro, di salire al monastero Mater Ecclesiae. Come giunse a questa decisione?
"Avevo visitato molte volte il monastero Mater Ecclesiae fin dalle sue origini. Spesso mi ero recato lì per partecipare ai Vespri, per celebrarvi la Santa Messa per tutte le religiose che vi si erano succedute. Da ultimo vi ero stato in occasione della ricorrenza dell’anniversario di fondazione delle Suore Visitandine. A suo tempo, Giovanni Paolo II aveva deciso che la casa, che in antecedenza era servita come abitazione del direttore della radio vaticana, doveva diventare in futuro un luogo di preghiera contemplativa, come una fonte d’acqua viva in Vaticano. Avendo saputo che in quella primavera scadeva il triennio delle Visitandine, mi si dischiuse quasi naturalmente la consapevolezza che questo sarebbe stato il luogo dove potermi ritirare per continuare a mio modo il servizio della preghiera al quale Giovanni Paolo II aveva destinato questa casa".

 Non so se ha visto anche Lei una foto scattata da un inviato della Bbc che, nel giorno della sua rinuncia, ritraeva la cupola di San Pietro colpita da un fulmine (Benedetto fa cenno con la testa di averla vista). A molti quell’immagine suggerì l’idea della decadenza o addirittura della fine di un mondo. Ora, però, mi viene da dire: si aspettavano di compiangere un vinto, uno sconfitto della storia, ma io vedo qui un uomo sereno e fiducioso.
"Sono pienamente d’accordo. Io avrei dovuto davvero preoccuparmi se non fossi stato convinto, come dissi all’inizio del mio pontificato, di essere un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Dall’inizio ero a conoscenza dei miei limiti e accettai, come ho sempre cercato di fare nella mia vita, in spirito di obbedienza. Poi vi sono state le difficoltà più o meno grandi del pontificato, ma vi sono state anche tante grazie. Mi rendevo conto che tutto quello che dovevo fare non potevo farlo da solo e così ero quasi costretto a mettermi nelle mani di Dio, a fidarmi di Gesù al quale, man mano che scrivevo il mio volume su di lui, mi sentivo legato da un’amicizia antica e sempre più profonda. Poi vi era la Madre di Dio, la madre della speranza che era un sostegno sicuro nelle difficoltà e che sentivo sempre più vicina nella recita del santo Rosario e nelle visite ai santuari mariani. Infine vi erano i santi, i miei compagni di viaggio da una vita: sant’Agostino e san Bonaventura, i miei maestri dello spirito, ma anche san Benedetto il cui motto 'nulla anteporre a Cristo' mi diveniva sempre più familiare e san Francesco, il poverello di Assisi, il primo a intuire che il mondo è lo specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino".

Solo consolazioni spirituali, quindi?
"No. Il mio cammino non era accompagnato solo dall’alto. Ogni giorno ricevevo numerose lettere non solo dai grandi della Terra, ma anche da persone umili e semplici che ci tenevano a informarmi che mi erano vicine, che pregavano per me. Di qui anche nei momenti difficili la fiducia e la certezza che la Chiesa è guidata dal Signore e che, quindi, potevo riporre nelle sue mani il mandato che egli mi aveva affidato nel giorno dell’elezione. Del resto questo sostegno è continuato anche dopo la mia rinuncia, per cui posso essere solo grato al Signore e a tutti quelli che mi hanno espresso e ancora mi manifestano il loro affetto".

Nel suo saluto di commiato dai cardinali, il 28 di febbraio del 2013, fin da allora promise obbedienza al suo successore. Nel frattempo ho l’impressione che lei abbia garantito anche vicinanza umana e cordialità a papa Francesco. Come è il rapporto con il suo successore?
"L’obbedienza al mio successore non è mai stata in discussione. Ma poi vi è il sentimento di comunione profonda e di amicizia. Al momento della sua elezione io provai, come tanti, uno spontaneo sentimento di gratitudine verso la Provvidenza. Dopo due pontefici provenienti dall’Europa Centrale, il Signore volgeva per così dire lo sguardo alla Chiesa universale e ci invitava a una comunione più estesa, più cattolica. Personalmente io rimasi profondamente toccato fin dal primo momento dalla straordinaria disponibilità umana di papa Francesco nei miei confronti. Subito dopo la sua elezione cercò di raggiungermi al telefono. Non essendo riuscito questo tentativo, mi telefonò ancora una volta subito dopo l’incontro con la Chiesa universale dal balcone di san Pietro e mi parlò con grande cordialità. Da allora mi ha fatto dono di un rapporto meravigliosamente paterno-fraterno. Spesso mi giungono quassù piccoli doni, lettere scritte personalmente. Prima di intraprendere grandi viaggi, il Papa non manca mai dal farmi visita. La benevolenza umana con la quale mi tratta, è per me una grazia particolare di quest’ultima fase della mia vita della quale posso solamente essere grato. Quello che dice della disponibilità verso gli altri uomini, non sono solamente parole. La mette in pratica con me. Che il Signore gli faccia a sua volta sentire ogni giorno la sua benevolenza. Per questo prego il Signore per lui".