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«Solo e soltanto nella Chiesa vi è salvezza». Quando Cossiga presentava Ratzinger
NEWS 19 Agosto 2020    di Giulia Tanel

«Solo e soltanto nella Chiesa vi è salvezza». Quando Cossiga presentava Ratzinger

Ricorre in questi giorni il decimo anniversario di morte del politico, giurista e docente universitario, nonché VIII Presidente della Repubblica e quindi Senatore a vita, Francesco Cossiga (1928-2010). Nato alla politica in seno alla Democrazia Cristiana, poi transitato attraverso altri partiti, è di certo stato un personaggio molto influente nel periodo della cosiddetta Prima Repubblica. Noto con il soprannome “picconatore”, o anche “gatto sardo” – diceva, in proposito: «Io, naturalmente, sarò il gatto mammone. Ma teniamo presente una cosa: i gatti graffiano» -, o ancora “lepre marzolina”, usciva da ogni possibile schema, tanto che oggi c’è chi parla del suo essere quasi schizofrenico.

Tuttavia su una cosa pare non avesse dubbi di sorta, ed era la sua adesione al cristianesimo: «Tutti sanno», dichiarava egli stesso nel 2003 rispondendo a un giornalista che gli chiedeva spiegazioni rispetto al suo interesse e ai suoi legami con la massoneria, «che sono un fedele suddito di Santa Romana Chiesa»; e, ancora, «Io non posso essere massone perché sono cattolico, e credo fermamente che le due condizioni siano incompatibili». Affermazioni forti, queste, di certo non scontate per un uomo in vista com’era lui. Naturalmente, Cossiga era un fedele comune, quindi non immune dai peccati e di certo non portatore della Verità in tutta la sua limpidezza, tuttavia alcune sue dichiarazioni o suoi interventi in ambito di fede mostrano ancora oggi, a distanza di anni, una interessante profondità e lungimiranza di analisi.

COSSIGA AL MEETING DI CL

Nel 2003, per esempio, Cossiga fu invitato a parlare al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione del libro Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, a firma dell’allora ancora cardinale Joseph Ratzinger (qui la relazione integrale).

«È un libro, questo», affermava in quella sede il politico, «che ci riporta nel clima fervido di studi teologici che ha caratterizzato il Novecento. È l’esempio di una teologia che offre una visione complessiva della realtà. […] Oggi c’è invero gran bisogno di visioni di questo tipo, che facciano intendere in termini attuali e moderni, ma fedeli alla tradizione e cioè alla verità, il fenomeno dell’esistenza cristiana e, nello stesso tempo, restituiscano a quella esistenza una unità della quale è stata largamente privata dalla cultura cosiddetta moderna». Di certo, affermava Cossiga, non si tratta di un testo da leggere sotto l’ombrellone, bensì muniti di matita e con un blocchetto degli appunti. Eppure – ed ecco qui emergere la lungimiranza d’analisi, chiara anche a distanza di quasi 20 anni -, «è questo un libro anche di estrema e drammatica attualità e che io reputo, più che necessario, provvidenziale, specie di fronte a certi “modernismi postconciliari” che – per eccesso di semplicismo o forse anche per eccesso di “carità” non nutrita di sufficiente dottrina o non “misurata” dalla virtù cardinale della prudenza – hanno dato luogo a percorsi teorici e pratici confusi e che hanno confuso… E alla confusione possono condurre appunto certi percorsi, ad esempio in materia di “ecumenismo”, “dialogo tra le religioni”, rapporto tra filosofia e fede, tra fede e religione, tra religione e conoscenza umana, tra monoculturalismo, interculturalismo e pluriculturalismo, se non ci si sente ancorati alla tradizione, all’insegnamento della Chiesa, al pensiero cristiano dei Padri della Chiesa, agli attualissimi John Henry Newman e Antonio Rosmini». Affermazioni, queste, che è oggi raro sentire sulla bocca dei teologi e degli stessi uomini di Chiesa, figuriamoci su quella di un giurista che si definiva un «dilettante» in teologia.

Cossiga vedeva infatti nel Concilio Vaticano II un momento importantissimo per la storia della Chiesa, potenzialmente foriero di sviluppi positivi, tuttavia non poteva non coglierne i «pericolosi fraintendimenti e le avventurose “fughe in avanti”», generati da un’impreparazione filosofica e teologica nel comprenderne appieno lo spirito, attraverso quella che, due anni più tardi, Ratzinger avrebbe definito una «ermeneutica della continuità» con la Tradizione di sempre.

«Il libro di Joseph Ratzinger», affermava ancora il politico sardo, «è quasi una summa di sana e moderna dottrina per poter affrontare questi problemi che la Chiesa già oggi, ma ancor più domani, dovrà affrontare: la Chiesa che siamo noi tutti!».


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