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Summorum Pontificum in Italia. A Roma gli esercizi spirituali per sacerdoti e seminaristi
NEWS 20 Gennaio 2015    

Summorum Pontificum in Italia. A Roma gli esercizi spirituali per sacerdoti e seminaristi

Si terrà dall’8 al 14 febbraio il 5° corso di esercizi spirituali per sacerdoti e seminaristi organizzato dell’Associazione Sacerdotale Summorum Pontificum. A predicarlo, presso la Casa di esercizi spirituali dei padri passionisti di Roma, sarà il vescovo di Coira (Svizzera) Vitus Huonder. Il ritiro si svolgerà in assoluto silenzio, è richiesta la talare o l’abito religioso, e le celebrazioni si svolgeranno nella liturgia latino-gregoriana. Qui la locandina dell’evento.

Di seguito invece riproponiamo l’articolo pubblicato sul Timone del numero di settembre 2013 dedicato a questa benemerita associazione che si occupa di promuovere la forma straordinaria della del rito romano, secondo il motu proprio di Benedetto XVI Summorum Pontificum.

Amici per la Messa
di Andrea Galli

Che fine ha fatto Summorum Pontificum, che ne è degli effetti del motu proprio con cui Benedetto XVI nel 2007 ha “liberalizzato” la liturgia tradizionale, definendola forma straordinaria del rito romano? La domanda non è peregrina. Dopo un calo di attenzione sul tema, si è tornato a parlarne per le polemiche attorno alla recente nomina di un commissario pontificio a capo dei Francescani dell’Immacolata, diventati negli anni “biritualisti”. Di certo c’è che Papa Francesco, ricevendo i vescovi della Puglia in visita ad limina lo scorso maggio, ha ricordato il valore del lascito di Ratzinger e li ha invitati far tesoro, nella liturgia, della tradizione. E di certo c’è che in sei anni le Messe nel rito romano straordinario sono sensibilmente aumentate lungo tutta la penisola. Stando al computo di Wikkimessa, sito che offre una mappatura straordinariamente accurata della diffusione della liturgia tradizionale in tutto il mondo, a luglio erano 187 le chiese in Italia dove regolarmente si celebrano Messe in rito antico. Un numero che smentisce chi aveva liquidato il motu proprio di Benedetto XVI come rivolto a sparuti nostalgici. In ogni caso, l’importanza di Summorum Pontificum non dipende dai numeri. Chi vi si è opposto all’interno della Chiesa l’ha fatto perché la supposta “abrogazione” della liturgia tradizionale era considerata la certificazione più autorevole, visibile – e anche più efficace, nel suo essere memento quotidiano – della lettura che vedeva nel Concilio una cesura nella storia della Chiesa. La rottura liturgica doveva esprimere lo stacco fra due ecclesiologie, quella prima e quella dopo il Vaticano II. Benedetto XVI, invece, nel dichiarare che la Messa antica non è mai stata abrogata, che «non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum», che «nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura» e che «ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso», ha posto il sigillo più autorevole sulla lettura del Concilio come riforma sì, ma nella continuità.

Un’amicizia spirituale
Tra i frutti dell’albero della liturgia tradizionale, che cresce con passo lento e costante, se ne può segnalare uno, l’Amicizia Sacerdotale Summorum Pontificum. Si tratta di un sodalizio tra sacerdoti, oggi una cinquantina da diverse regioni, uniti dalla celebrazione, dallo studio e dall’amore della liturgia antica. L’iniziatore è il domenicano Vincenzo Nuara, nato a Vallelunga in provincia di Caltanissetta nel 1966, entrato nell’ordine dei frati predicatori a 20 anni, oggi di stanza a Roma, alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei. Il segretario è invece il giovane don Marino Neri, entrato in seminario dopo una laurea in lettere classiche, parroco a Linarolo, in provincia di Pavia.

«L’esperienza è nata con il passaparola, anche attraverso il web» spiega padre Nuara, «non si tratta di una realtà troppo strutturata, la nostra è essenzialmente un’amicizia spirituale. Abbiamo voluto ricordarci alcuni punti fermi che non possono mancare nella vita di un sacerdote cattolico: l’amore alla preghiera, al breviario, la devozione all’abito clericale o religioso, l’amore per la liturgia, lo studio e la predicazione della dottrina, l’amore alla Madonna, al rosario, l’obbedienza ai vescovi e al Papa, con umile sottomissione. Dato questo “decalogo”, ognuno vive poi la propria vita sacerdotale senza altri obblighi».

Il sodalizio si muove su tre direttive: formazione umana, con incontri organizzati durante l’anno, formazione spirituale, con gli esercizi spirituali di una settimana prima della Quaresima, e formazione intellettuale, con giornate di studio dette “Giornate romane”. Le iniziative hanno acquisito da subito un profilo alto. Basti vedere gli atti del III convegno sul Summorum Pontificum, organizzato dall’Amicizia sacerdotale nel 2011, da poco pubblicati dalla benemerita editrice Fede & Cultura. Un testo ricchissimo quanto fruibile – la qualifica di “Atti” potrebbe far pensare a qualcosa di pedante – con gli interventi dei cardinali Walter Brandmüller e Kurt Koch, dei vescovi Marc Aillet, Athanasius Schneider e Guido Pozzo, del cerimoniere pontificio mons. Marco Agostini, di due firme ben note ai lettori del Timone come don Nicola Bux e Roberto de Mattei, e con un tocco femminile, quello di madre Maria Francesca dell’Immacolata. Libro che verrà presentato a Roma l’11 ottobre.

A chi si chiedesse se ci siano ancora frizioni, incomprensioni nell’applicazione del Summorum Pontificum, dopo un inizio certo non facile, padre Nuara risponde che «ormai tante difficoltà sono in via di superamento. Chi pensava che la liturgia tradizionale procurasse spaccature nelle comunità o favorisse uno stile retrò e di maniera, si è sbagliato. Essa fa crescere nel bene le comunità, dà più slancio spirituale, più sacralità, più senso di appartenenza alla Chiesa. Questa è la mia esperienza e non è una questione di pizzi e merletti, come qualcuno dice per disistimare quanto è stato compiuto. I pizzi li mettono anche coloro che non hanno a cuore la liturgia tradizionale, è solo un modo di squalificare qualcosa di sacro nella vita della Chiesa. Io non mi sento né un conservatore, tantomeno un retrogrado, ma un tradizionale, perché la Chiesa è tradizione e nella tradizione essa trova la sua più profonda comunione ».

Giovani ed entusiasti
Quale invece la ricaduta sui sacerdoti? «È la riscoperta della propria identità – spiega ancora Nuara – qualcosa di misterioso. Il contatto con la liturgia tradizionale porta il sacerdote e a riscoprire cose profonde a cui quasi non pensava, è la liturgia che costringe a farlo: la sua ritualità, i segni, le parole, i gesti lo costringono a ricordare chi è e a vedere la propria missione come soprannaturale: il sacerdote è per gli uomini, ma perché porta Dio».

Chi ha potuto frequentare o anche solo incrociare il mondo fiorito attorno al Summorum Pontificum non ha potuto non notare l’età bassa dei protagonisti, la presenza significativa di giovani. «Che sono i primi a rimanerne entusiasti – chiosa padre Nuara – anche i bambini che si avvicinano al servizio dell’altare: ne restano estasiati». La riprova è anche l’altra associazione nata sulla scia dell’Amicizia Sacerdotale, ossia Giovani e Tradizione. Ha la sua base ad Acireale, in provincia di Catania, dove Nuara ha svolto il suo apostolato per alcuni anni. Lì vengono svolte gran parte delle attività, soprattutto di carattere culturale, anche se la ricerca di lavoro ha portato diversi aderenti a trasferirsi in altre parti d’Italia. Il suo presidente, Angelo Pulvirenti, è un ingegnere informatico oggi residente a Milano.

La liturgia della Chiesa indivisa
Padre Nuara è solito chiamare la liturgia antica o tradizionale “latino-gregoriana”, perché, dice, «è presente nella Chiesa da 1.500 anni, già prima di papa Gregorio, ed è sostanzialmente rimasta immutata tranne pochissime variazioni». Per cui «Benedetto XVI ha compiuto un atto magisteriale per il rinnovamento della vita della Chiesa in perfetta continuità con la tradizione della Chiesa stessa. Basta leggere il numero 4 della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, dove si ricorda che tutti i riti antichi devono essere conservati. Benedetto XVI ha fatto esattamente questo. Un grande atto di lungimiranza pastorale, per ricondurre alla Chiesa anche coloro che se ne sono allontanati, attraverso il tesoro del bonum, del verum e del pulchrum che risplende in questa liturgia. Nello stesso tempo, credo che il motu proprio sia stato un grande atto ecumenico con tutto l’Oriente cristiano. Chi conosce le liturgie del mondo ortodosso sa dello stretto legame che le unisce alla liturgia latino-gregoriana. Io ho avuto una bellissima esperienza un giorno mentre mi trovavo a celebrare in una città in Italia. Un sacerdote ortodosso, che aveva una chiesa nel territorio della parrocchia, aveva chiesto di partecipare ufficialmente alla celebrazione. Terminata la Messa è venuto ad abbracciarmi dicendo: questa è la liturgia della Chiesa indivisa».