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Il Vaticano prova a salvare le chiese abbandonate
NEWS 12 Luglio 2018    di Giulia Tanel

Il Vaticano prova a salvare le chiese abbandonate

Viviamo in un mondo sempre più secolarizzato: i valori della fede non informano più la mentalità comune e il numero delle nuove vocazioni e dei “cattolici praticanti” è oramai in caduta progressiva da anni. Questo naturalmente determina importanti conseguenze a livello socio-culturale, ma ha anche portato – scrive il sito web Crux – i vertici vaticani a interrogarsi sul futuro delle tante chiese sparse nel mondo e avviate verso il declino: i pochi (e spesso ultrasettantenni) fedeli che varcano il sagrato sacro, i sacerdoti impegnati su più parrocchie e le ristrettezze economiche costringono a una corsa ai ripari.

«È un fenomeno culturale e pastorale di grande importanza», ha affermato Gianfranco Ravasi, capo del Pontificio Consiglio della cultura, in una conferenza stampa tenutasi il 10 luglio: oltre al dato religioso, infatti, non va trascurato il fatto che spesso le chiese sono anche dei piccoli tesori a livello artistico, per via della concezione – un tempo diffusa, oggi apparentemente dimenticata – che tutto, a partire appunto dagli edifici destinati al culto, dovessero servire a una maggiore glorificazione di Dio.

Ecco quindi che si è deciso di emanare delle linee guida in merito e il Pontificio Consiglio per la Cultura del Vaticano, la Conferenza Episcopale Italiana (Cei) e l’Università Gregoriana a Roma hanno annunciato che i prossimi 29 e 30 novembre si terrà – presso il campus dei Gesuiti – un congresso nazionale dal titolo: “Dio non vive più qui? Smaltimento dei luoghi di culto e gestione integrata dei beni culturali ecclesiastici”.

L’iniziativa è stata accolta con favore in ambito ecclesiale internazionale, a testimonianza della diffusione capillare del problema. Solamente per dare una panoramica, il cardinal Ravasi ha riportato come, in diverse zone del mondo, molti edifici sacri siano già stati adibiti ad altri usi: in Repubblica Ceca, per esempio, una chiesa è stata trasformata in un night club, mentre nei Paesi Bassi una chiesa domenica è diventata una biblioteca e un bar, la chiesa di San Lorenzo a Venezia è stata adibita a sala da concerto e la «chiesa di Santa Barbara a Llanera in Spagna è stata rinnovata con l’arte psichedelica per accogliere gli skateboarder».

Ravasi ha quindi illustrato i fattori che influenzano il fenomeno. Da un lato vi è un dato storico, «perché – ha affermato – la questione delle requisizioni delle proprietà della Chiesa è sempre avvenuta, basti pensare a Napoleone e poi al Rinascimento». Per dare una panoramica dell’oggi, soffermandosi sulla sola Italia, delle oltre 100.000 chiese presenti nell’intera Penisola, solo circa 65.000 continuano a essere gestite dai vescovi, mentre le altre sono sotto il Fec (fondo per i luoghi di culto, che fa capo al Ministero degli interni) oppure appartengono a enti privati. Dall’altra vi è un dato geografico perché la questione interessa «Paesi con diverse problematiche e sfide, ma soprattutto gioca nel contesto culturale e sociale».

Di fronte a questa complessità è dunque necessario mettere in atto misure ragionate, che vadano oltre la poco consona ipotesi di far pagare ai visitatori l’ingresso nelle chiese ma che invece incarnino – come ha sottolineato il segretario della Cei, Nunzio Galantino – un «approccio basato sul valore e sulla pastorale». Nella speranza che, anche grazie alla valorizzazione della bellezza delle chiese e della tradizione religiosa, il gregge di Dio possa (ri)scoprire e fare ritorno alla vera Bellezza.


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