Sydney sarà la sede del Congresso eucaristico internazionale del 2028, lo ha annunciato il card. Porras alla fine del 53° Congresso eucaristico internazionale appena conclusosi a Quito, capitale dell’Equador. Nella Chiesa cattolica, il Papa convoca un Congresso eucaristico internazionale in una sede diocesana su proposta del vescovo, allo scopo di aiutare il popolo cristiano a credere, celebrare e vivere maggiormente il mistero eucaristico. La storia del Congresso eucaristico internazionale di Sydney è profondamente legata allo zelo e alla fede dei primi cattolici australiani.
Alla fine degli anni venti del Novecento, la Chiesa cattolica australiana, cresciuta da una piccola radice, contava quasi un milione e 200 mila fedeli cattolici (su sei milioni di abitanti), cinque arcivescovi, diciannove vescovi, 1.800 preti, religiosi di quasi tutti gli ordini e circa 10.000 religiose. Per fare memoria delle origini e invitare i cattolici a partecipare con entusiasmo al Congresso, in questi giorni l’arcivescovo di Sydney, mons. Anthony Fisher, ha diffuso un video che racconta come «la potenza dell’Eucarestia costruì la Chiesa di Dio a partire da umili origini».
Fu proprio un’ostia consacrata lasciata a Sydney da un prete cattolico deportato all’inizio del XIX secolo a divenire il «centro della nostra prima comunità cattolica», racconta l’arcivescovo, la storia è stata anche ritratta dall’artista australiano Paul Newton e ben delineata in un articolo del giornale “The Catholic Weekly” dell’ottobre 1952. Il sacerdote in questione era padre Jeremiah O’Flynn (1788-1831), di origine irlandese. Complessivamente, ha svolto il suo ministero in Australia solo per pochi mesi, ma la sua storia è alla base della realtà cattolica odierna del Paese. Diventa monaco all’età di 22 anni entrando nell’abbazia di Lulworth nel Dorset in Inghilterra, solo in seguito, come ha ricordato l’arcivescovo di Sydney, padre O’Flynn «si unì a una missione nelle Indie occidentali. Quando i monaci furono espulsi dalla Martinica, rimase, anche se era ancora solo un diacono, a prendersi cura degli schiavi cattolici fino a quando non fu dichiarato incompetente dall’arcivescovo Neale di Baltimora, che aveva giurisdizione su quelle isole».
O’Flynn si diresse così a Roma per rispondere ad alcune accuse e lì decise che si sarebbe diretto verso la città di Sydney. «Ordinato sacerdote ha in qualche modo ottenuto una lettera di nomina», ha raccontato ancora l’arcivescovo. Il 13 aprile 1817 era a bordo di una nave che salpava per Sydney. Il 9 novembre 1817 sbarcò a Sydney dopo aver fatto tappa nella città di Hobart. Quando si rivolse al governatore Macquarie esprimendo il suo desiderio di guidare i cattolici della colonia, la reazione del governatore fu semplicemente: «Vogliamo renderli tutti protestanti». Così, iniziò a celebrare la Messa clandestinamente. Inutile dire che i cattolici della colonia, che erano stati senza sacerdote da quasi un decennio e contavano circa 6.000 persone, lo accolsero con gioia.
Inviarono petizioni in Inghilterra per ottenerne la sua permanenza in Australia, tuttavia dai documenti ritrovati si rileva che non c’è mai stata la prospettiva di un’approvazione. Il governatore Macquarie era ostile e prevenuto verso il cattolicesimo, per questo la missione di padre O’Flynn era destinata a fallire in breve tempo. Macquarie, che sperava di estinguersi dal papato, gli proibì di eseguire i riti della sua Chiesa fino a quando non avesse ricevuto istruzioni da Londra. Lungi dall’obbedire all’autorità britannica, che favoriva gli anglicani, «O’Flynn sfidò l’ordine, celebrando battesimi, confessioni, matrimoni e messe clandestine in case cattoliche», racconta ancora mons. Fisher.
Prima della fine del suo primo anno in Australia, era già stato emesso un decreto di espulsione nei suoi confronti. Il governatore, data la sfida di O’Flynn e, peggio ancora, la sua inclinazione a convertire i soldati protestanti, lo arrestò e «nonostante una richiesta da parte di metà dei soldati del 48º reggimento che erano cattolici, così come da alcuni leader protestanti, Macquarie lo rimandò a casa». Il 15 maggio 1818 fu rinchiuso nella prigione locale e infine consegnato al comandante della nave “David Shaw” per essere deportato. La nave che lo trasportava lasciò Sydney il 20 maggio, facendo fargli ritorno in Inghilterra verso novembre. Padre O’Flynn portava con sé una petizione dei cattolici di Sydney che imploravano il governo britannico di concedere loro il diritto a un sacerdote residente.
Per sopperire alla sua assenza, padre O’Flynn aveva lasciato il Santissimo Sacramento in un armadietto nel cottage di William Davis (dove venivano celebrate le messe) all’angolo tra Grosvenor e Harrington Street. Non esiste cattolico in Australia che non abbia sentito la storia di come i cattolici di Sydney, dopo la deportazione di padre O’Flynn e in assenza di un sacerdote, si incontrarono e pregarono in quel cottage, sostenuti dalla Presenza Reale di Gesù.
La petizione portata da padre O’Flynn in Inghilterra ha permesso l’iter di un’autorizzazione legale di concessione per i cattolici della colonia. La Chiesa cattolica in Australia è così fondata sul “fallimento personale” della missione di padre O’Flynn. I fedeli cattolici di Sydney infatti «sognavano il giorno in cui sarebbero stati liberi di avere sacerdoti e sacramenti in quel Paese […] e alcuni mesi dopo, il cappellano di una nave da guerra francese in visita ha consumato il Sacramento e celebrato di nuovo la Messa per la gente del posto. E alcuni mesi dopo arrivarono i primi cappellani cattolici ufficiali dell’Australia, John Joseph Therry e Philip Connolly», ha concluso il racconto mons. Fisher.
Intanto padre O’Flynn fece ritorno nel Nuovo Galles, per poi tornare in Irlanda, finché nel marzo 1820 potè ripartire per le Indie occidentali. Dopo un periodo un po’ turbolento i documenti attestano che nel 1822 si trovava a Filadelfia, negli Stati Uniti. Fu a Silver Lake, in Pennsylvania, che costruì una chiesa e morì l’8 febbraio 1831, alla giovane età di 42 anni.
Mons. Fisher ha ricordato che quella storia «ha molti parallelismi con la nascita della Chiesa che raccontiamo ogni Pasqua. I cattolici coloniali si riunivano spesso in segreto per paura della persecuzione, come facevano i primi cristiani. […] Ma hanno svolto il ministero della parola e dei sacramenti come hanno fatto quei primi cristiani […] disposti a dare la vita per amore, come Gesù ha comandato nel nostro Vangelo», in una comunità cattolica che «non era segnata dalla rabbia o dall’odio, ma da una devozione silenziosa e determinata». (Foto: Trove/Pexels.com/Pexels.com)
Riceverai direttamente a casa tua il Timone
Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone
© Copyright 2017 – I diritti delle immagini e dei testi sono riservati. È espressamente vietata la loro riproduzione con qualsiasi mezzo e l’adattamento totale o parziale.
Realizzazione siti web e Web Marketing: Netycom Srl