«La cannabis light è fuori legge, passa l’emendamento del governo. A rischio 11.000 posti di lavoro». Per come la mette Repubblica, sembra che il Governo Meloni – peraltro lo stesso che ha portato l’occupazione al record di oltre il 62% – si sia messo in testa di creare un po’ di disoccupati e, non sapendo come fare, ha pensato bene di prendersela con un settore a caso: quello che, dalla cosmesi all’erboristeria agli integratori alimentari fino al florovivaismo, ruota attorno alle sostanze derivate dalla pianta di canapa. In realtà, come spesso capita, le cose sono un po’ più complesse di quelle raccontate dal quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. Vediamo perché.
Tanto per cominciare, c’è da dire che il mercato della “cannabis light” è qualcosa di molto recente nel nostro Paese, essendo la legislazione attuale risalente a meno di dieci anni fa, precisamente alla legge 242 del 2016. Quindi non parliamo esattamente di un architrave del nostro sistema economico; soprattutto, non parliamo – altra cosa che molti fingono di non vedere – di un settore privo di rischi per il bene comune. Basti infatti vedere che cosa, quando il ministro della Salute era Giulia Grillo (non una scatenata proibizionista, ma una esponente del Movimento 5 Stelle), affermava proprio sulla “cannabis light” il Consiglio superiore di Sanità.
Il riferimento è qui al parare del 10 aprile 2018, quando appunto il Consiglio superiore di Sanità ha scritto nero su bianco di ritenere «che la vendita dei prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa, in cui viene indicata in etichetta la presenza di “cannabis” o “cannabis light” o “cannabis leggera”, in forza del parere sopra espresso circa la loro pericolosità, qualunque ne sia il contenuto percentuale di Thc, pone certamente motivo di preoccupazione». Nello stesso parere si raccomandava di attivare «nell’interesse della salute individuale e pubblica e in applicazione del principio di precauzione, misure atte a non consentire la libera vendita dei suddetti prodotti».
Per pervenire a queste conclusioni, ci si è basati sulle seguenti considerazioni: nonostante la bassa concentrazione di Thc nella “cannabis light”, esistono molti fattori che ne rendono variabile l’assorbimento e la quota finale circolante nel sangue; lo stesso Thc e altre sostanze contenute nella “cannabis light” possono facilmente accumularsi nei tessuti dell’organismo, specie nel grasso e nel cervello, raggiungendo concentrazioni molto superiori a quelle rilevate nel sangue; il consumo avviene al di fuori di ogni controllo, per cui non è possibile verificare quanto prodotto effettivamente sia assunto, compensando con la quantità la scarsa concentrazione di Thc.
Da quel dunque articolare parere, il ministro Grillo – serve forse dirlo? – aveva preso subito le distanze, ma il Consiglio superiore di Sanità era stato chiaro. Allo stesso modo sono chiare le evidenze di una ricerca del dottor Giovanni Serpelloni – direttore dell’Uoc Dipendenze di Verona e attivo anche presso il Dp Institute dell’Università della Florida – che ha messo in luce come dalla “cannabis light”, attraverso strumenti specifici, si possa agevolmente estrarre e concentrare il Thc, ottenendo così una sostanza alterante dannosa per la salute. Dunque tutto si può dire fuorché che il mercato che ruota attorno alla “cannabis light” equivalga a qualsiasi altro.
Sempre il dottor Serpelloni aveva commentato: «Mi chiedo perché il Ministero della Salute non abbia ascoltato le indicazioni scientifiche di un Consiglio che riunisce i maggiori scienziati del Paese in termini di salute pubblica. Anche solo per coerenza la cannabis light non dovrebbe essere vendibile, dire che la si può acquistare per profumare l’ambiente significa prendere in giro le persone e la stessa legge che esplicitamente vieterebbe il proselitismo. Eppure anche gli uffici competenti tacciono». Parole che non si possono che condividere e che fanno capire come quanti, oggi, protestano contro l’emendamento del Governo che equipara la “cannabis light” alla tradizionale non lo facciano certo per salvare posti di lavoro, bensì un’ideologia.
Dicendo questo, si badi, non si vuol assolutamente negare solidarietà a chi, in ragione di questa nuova svolta, dovesse a breve affrontare delle difficoltà occupazionali o finanziarie anche serie. Tuttavia, a ben vedere, costoro più che con l’attuale Governo dovrebbero in realtà prendersela con gli esecutivi precedenti, che qualche anno fa li hanno messi nelle condizioni di poter operare su una frontiera oggettivamente delicata e complessa, che corre il rischio di esporre la collettività, in particolare i giovani, a dei seri rischi. E sì dà il caso che non esista ambito economico che valga quella salute e quel benessere che una società, ogni società, deve alle giovani generazioni. (Foto. Imagoeconomica)
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