L’istituto Euromedia research di Alessandra Ghisleri, lo stesso al quale la nostra rivista (qui per abbonarsi) ha commissionato l”inedita ricerca sulla fede del popolo italiano che ne ha restituito una panoramica poco incoraggiante, ha raccolto la posizione dei cittadini rispetto alla cittadinanza agli stranieri che vivono nel nostro paese. L’esito, in sintesi, è quello riferito dalla stessa direttrice a Porta a porta di Bruno Vespa: «L‘italiano ha letto favorevolmente un impegno da parte del cittadino che desidera la cittadinanza. Mentre invece nel caso del referendum così come è stato posto, ovviamente non c’è questo impegno. Ossia: il diritto di avere la cittadinanza senza impegni non piace alla maggioranza degli italiani».
Alla domanda specifica del sondaggio del 27 settembre «siete favorevoli o contrari a ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza legale in Italia per richiedere la cittadinanza con trasmissione automatica ai figli minorenni?», si è dichiarato a favore il 35,6 % contro il 52,4 di quelli che si sono detti contrari. Un 12 % degli intervistati ha scelto di non rispondere. Riguardo allo ius scholae, espressione latina in stile giuridico, di recente conio, che indica la possibilità di acquisire la cittadinanza al compimento di un ciclo di studi, gli italiani si sono detti a favore per il 44,2 % ma respingono la concessione del diritto di cittadinanza in tempi più brevi di quelli attualmente previsti.
Ciò che emerge dalla ricerca, dunque, dovrebbe avere l’effetto di una doccia fredda e non a scopo corroborante per lo schieramento politico che ha depositato la proposta di legge alla Camera e promosso in lungo e in largo l’adesione ideologica alla ratio che la sottende. La proposta prevede che si ottenga lo ius soli richiedendo un anno di residenza legale per uno dei genitori e lo ius scholae per i bambini entrati in Italia prima del dodicesimo anno di età e che abbiano frequentato almeno 5 anni nel nostro sistema scolastico, che comprenderebbe, secondo il testo della proposta, anche la scuola dell’infanzia. Gli anni di residenza continuativa richiesti, sempre secondo i firmatari del testo depositato dal PD, scenderebbero da 10 a 5.
No, per la maggiorana degli italiani, la risposta è – forte e chiara – no. Pur favorevoli alla cittadinanza da concedersi alle persone che si integrano in modo stabile nel tessuto sociale, produttivo e culturale del nostro paese, l’accorciamento dei tempi e la riduzione di impegno richiesta non è accettabile. La mobilitazione che ha portato alla raccolta delle 500.000 firme, dunque, non è una cosa da nulla, certo; ma non si traduce nemmeno nel trionfo che la sinistra italiana aveva già iniziato ad accompagnare con marce e fanfare. (Fonte foto: Imagoeconomica/Pexels.com)
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