È iniziata la seconda sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi. Il primo relatore, il cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo, ha ricordato che il Sinodo «è essenzialmente una scuola del discernimento: è la Chiesa radunata insieme con Pietro per discernere insieme. Una Chiesa sinodale è una proposta alla società di oggi: il discernimento è frutto di un esercizio maturo della sinodalità come stile e come metodo. Il discernimento ecclesiale può essere una sfida e un esempio per ogni tipo di assemblea, che deve trovare nell’ascolto reciproco dei suoi membri la regola d’oro per la ricerca della verità e del bene comune».
In questo contesto, in un’intervista rilasciata all’Agenzia Fides, Martín Lasarte Topolansky, vescovo della diocesi di Lwena, ha ricordato che in Africa le urgenze pastorali «sono spesso diverse rispetto a quello di cui si discute durante il Sinodo». Bassa scolarizzazione, mancanza di servizi, lebbra, la diffusione di sette aggressive. «Nella mia diocesi», prosegue il vescovo, «esiste ancora la lebbra. È vero che in Europa c’è la secolarizzazione che avanza, ma in Africa ci sono centinaia di seminaristi che vanno sostenuti nel loro percorso di formazione. Siamo una Chiesa in fase di sviluppo. La Chiesa cattolica è bella con le sue diversità, ha ricchezze e criticità in ogni latitudine che troppo spesso non vengono colte».
Non si può considerare l’Africa come un’appendice della Chiesa, al contrario ne rappresenta il motore propulsore del futuro, se non del tutto, di sicuro in buona parte dal punto di vista demografico – come abbiamo visto nelle pagine del nostro numero di aprile (qui per abbonarsi). «È vero quello che ha detto il Papa», prosegue il vescovo angolano, «che quando pensiamo alla Chiesa si è “occidentali”. Certo è che questa è la storia della Chiesa, non si possono cancellare duemila anni di bellezza e ricchezza del cristianesimo. Ma lo Spirito Santo ha soffiato ovunque. Si nota però che la Chiesa è eurocentrica in molte occasioni, come questo Sinodo. A volte si vuole far passare i problemi che la Chiesa ha in Occidente come se fossero proprio quelli i grandi problemi della Chiesa universale. Invece bisognerebbe dire: calma, questi problemi li avete voi, e va bene affrontarli, vi diamo coraggio. Noi però abbiamo tantissime altre criticità, come la prima evangelizzazione, o la formazione dei laici, il dialogo interreligioso o la crescita enorme di sette di qualsiasi tipo».
Tra le urgenze che vive oggi l’Africa, il vescovo annovera l’aumento degli islamisti, quasi ci fosse dietro una «“pastorale vocazionale”»: «In alcuni casi, ragazze cristiane si sposano con ragazzi musulmani, i figli vengono inviati a studiare in Paesi a maggioranza islamica e quando tornano sono diventati musulmani legati a gruppi oltranzisti». Tuttavia, fa presente che la situazione cambia a seconda di dove ci si trova: «Il dialogo c’è, ma non sempre e non ovunque. Nell’est ci sono situazioni che sono l’esatto opposto dell’ovest, quindi il dialogo si fa più difficile in alcune zone», ma rimane il fatto che «quando si mettono insieme povertà e mancanza di orizzonti, si crea una miscela pericolosa».
Lo stesso avviene con le sette neo-pentecostali: «Si tratta di gruppi completamente scollati che non entrano in dialogo nemmeno con le Chiese protestanti», spiega il vescovo di Lwena. Un altro problema che persiste nel continente africano riguarda la stregoneria – che sta prendendo piede sempre di più anche nel nostro Occidente laico e secolarizzato (qui per leggere il nostro approfondimento) – : «Ci sono luoghi dove magia e stregoneria sono la prima causa di violenze e omicidi. Quotidianamente dobbiamo fare i conti con una società dove le situazioni di disagio sono tantissime. Ognuno è libero di credere in ciò che vuole, massimo rispetto per le credenze ancestrali, ma dobbiamo rispettare in primis la dignità di ogni persona».
È qui che fa la differenza la presenza operosa di molti missionari, sottolinea il vescovo Topolansky: «Avere missionari di diversi popoli e nazioni è una ricchezza. Si potrebbe cadere nella tentazione di dire: “Siamo maturi, non abbiamo bisogno di nessuno”. È vero, io sono l’unico vescovo non angolano, gli altri sono tutti locali, ma tutti riconosciamo che la loro presenza è un segno dei tempi. Nella mia diocesi, 223mila chilometri quadrati, tra le più grandi dell’Africa subsahariana, dove si parlano 8 lingue, loro sono una risorsa».
In conclusione, il vescovo di Lwena affida all’intervista il suo prezioso punto di vista: «Oggi poi abbiamo degli angolani partiti missionari in Papua Nuova Guinea e in Amazzonia. Paesi che prima ricevano missionari sono ora diventati Paesi da cui partono i missionari. Il Vangelo è sempre lo stesso, cambiano gli stili dell’evangelizzazione, ma la Chiesa per sua natura è missionaria e continuerà ad esserlo sempre». (Foto: Screenshot Iglesiauy, YouTube)
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