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13.12.2024

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Le politiche «inclusive»? Aumentano le ostilità e i pregiudizi, rivela un nuovo studio
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29 Novembre 2024

Le politiche «inclusive»? Aumentano le ostilità e i pregiudizi, rivela un nuovo studio

Negli ultimi anni, la promozione di politiche e percorsi DEI – acronimo di Diversity, equity e inclusion – è risuonata come un mantra irrinunciabile nel mondo della formazione accademica e aziendale. Il tutto nella convinzione che simili percorsi possano non solo migliorare in clima, ma anche la produttività. Ora, iniziando con quest’ultima, c’è da dire come già nel luglio 2023 il prestigioso Financial Times, in un articolo a firma di Taylor Nicole Rogers e Patrick Temple-West, avesse segnalato come, se dal 2019 al 2022 le assunzioni per il ruolo di chief diversity officer erano letteralmente esplose, facendo segnare un’impennata del 169%, tale tendenza «si è invertita, con queste assunzioni che sono calate del 4,5%. Anche il numero di nuovi ruoli dedicati a diversità, equità e inclusione nelle società nordamericane è diminuito dal picco nel 2021».

Le politiche DEI pareva quindi avessero già fatto il loro tempo. Quello che fino ad oggi invece non si sapeva – e che è emerso in questi giorni – è che si tratta pure di politiche che, anziché ridurla, aumentano l’intolleranza. La scoperta, del tutto controintuitiva ma riscontrata in modo netto, è emersa Instructing Animosity: How DEI Pedagogy Produces the Hostile Attribution Bias, studio di 23 pagine realizzato dal Network Contagion Research Institute – o Ncri – e dal Rutgers University Social Perception Lab. Pubblicata proprio in questi giorni e frutto del lavoro di 13 ricercatori, questa indagine ha infatti riscontrato come non ci sia nessuna efficacia della formazione DEI nella promozione dell’inclusione, anzi. Questa scoperta è stata frutto di quattro esperimenti effettuati con diversi campioni di centinaia di persone – rispettivamente di 423, 1.086, 2.017 e 847 unità.

In breve, ciascuno di questi campioni è stato diviso in due gruppi casuali: al primo è stato fatto leggere un testo DEI, all’altro un testo del tutto neutrale. Poi ad entrambi i gruppi è stata posta una situazione e si è chiesto di valutarla, scoprendo come quanti erano reduci da una lettura «inclusiva» interpretassero la stessa situazione in modo del tutto deformato. Per entrare più nel concreto, un campione di 1.086 persone è stato diviso in due gruppi: al primo, di controllo, è stato fatto leggere un testo neutro (sulla produzione di mais negli Stati Uniti), mentre al secondo è stato rifilato un saggio che combinava testi educativi di importanti studiosi DEI come Robin DiAngelo, docente all’Università di Washington, e Ibram Kendi, che dirige il Center for Antiracist Research presso la Boston University.

Questo testo sostiene – lo citiamo testualmente – che «i bianchi cresciuti nella società occidentale sono condizionati da una visione del mondo suprematista bianca. Il razzismo è la norma; non è insolito. Di conseguenza, l’interazione con i bianchi è a volte così opprimente, estenuante e incomprensibile che causa una grave angoscia per le persone di colore». Dopodiché ad entrambi i gruppi del campione, è stata sottoposta la valutazione di una situazione in sé molto semplice: quella di uno studente che aveva fatto domanda per un’università d’élite della costa orientale nell’autunno del 2024. Questo studente, la cui domanda è stata poi respinta, era stato da un responsabile delle ammissioni. Ai partecipanti allo studio è stato quindi chiesto di valutare lo scenario con domande progettate per sondare la misura in cui percepivano razzismo nell’interazione.

Da notare come, nella situazione presentata, non c’era alcun riferimento razziale o etnico da parte del responsabile delle ammissioni. Ciò nonostante, ciò che si è visto è che quanti avevano letto il saggio di Ibram X. Kendi e Robin DiAngelo sono risultati più inclini non solo a vedere il razzismo dove non c’era, ma anche più favorevoli (+12%) alla sospensione per un semestre dell’esaminatore, più favorevoli (+16%) a che costui presentasse scuse pubbliche al candidato e a rifilare (+12%) della formazione Dei al funzionario; tutto questo, attenzione, senza che questi partecipanti allo studio avessero mostrato, a livello personale, miglioramenti nei loro atteggiamenti verso le minoranze etniche. Le politiche DEI da un lato quindi non combattono alcun pregiudizio, ma dall’altro ne creano di nuovi. Un successone, non c’è che dire.

«Le prove emerse in queste ricerche», hanno concluso gli studiosi, «rivelano che, pur pretendendo di combattere i pregiudizi, alcune narrazioni DEI possono generare un pregiudizio ostile e aumentare il sospetto razziale, gli atteggiamenti pregiudizievoli, una visione autoritaria e il supporto a comportamenti punitivi in ​​assenza di prove di una trasgressione meritevole di punizione». Non è tutto. Questo nuovo studio è anche al centro di un piccolo giallo editoriale negli Stati Uniti. Secondo le informazioni fornite dal Ncri a National Review, i giornalisti di Bloomberg e del New York Times si erano infatti dichiarati interessati a scrivere in merito ai risultati di questa ricerca, ma questo è stato «inspiegabilmente» fermato «ai massimi livelli editoriali. Non era mai successo all’Ncri nei suoi 5 anni di storia». Insomma, le politiche Diversity, equity e inclusion sono un disastro. Ma è meglio non si sappia troppo in giro. (Foto: Pexels.com/Pexels.com)

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