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13.12.2024

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Perché la demonizzazione dell’uomo non aiuta le donne
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26 Novembre 2024

Perché la demonizzazione dell’uomo non aiuta le donne

È vero, la guerra tra maschi e femmine che affligge il mondo contemporaneo – che di conflitti aperti ne avrebbe già abbastanza – non vedrà vincitori, non tra i due schieramenti in aperta ostilità, almeno. Ci sarà però chi può trarre vantaggio da una società che non è più tale, spogliata del suo tessuto fondamentale fatto di legami solidi a partire dalla polarità cooperativa tra uomini e donne. Ciò che si è ammalato, infatti, non sono tanto i maschi spinti a forza nel ruolo del cattivo della fiaba, e mai abbastanza privati della loro virilità, e nemmeno le donne, loro malgrado ridotte a “palestrate” dell’emancipazione dal neo femminismo che ha scritto la fiaba di cui sopra.

Ciò che soffre e langue sono le relazioni stesse; il luogo in cui si scatena ogni tipo di violenza è tra le persone: scaturisce dal cuore, maschile o femminile che sia, e si riversa al di fuori, contro l’altro e contro sé stessi. Non è predestinazione cromosomica, quasi fosse una tara che colpisce solo gli XY (quando fa comodo allora la biologia conta?); si tratta piuttosto di una vulnerabilità ontologica, spirituale prima ancora che psicologica, che ci segue da quando il peccato è entrato nella storia dell’umanità. Siamo feriti, maschi e femmine, e incapaci da soli di mantenerci fedeli al bene che pure ci attira e appaga.

Un effetto di questo errore ideologico che insiste nell’indicare nel maschio e nell’impianto culturale che si baserebbe sul suo strapotere si è visto chiaramente negli esiti delle elezioni presidenziali americane: «Mentre (queste) si avviavano al loro epilogo entrambe le campagne si sono concentrate in gran parte sulle loro basi di genere, sperando di vincere la guerra cromosomica». L’articolo che commenta il fenomeno è uscito su Telegraph con la firma di Joel Kotkin, che conclude quanto la crisi tra i due sessi stia comportando uno spostamento di massa dei giovani maschi a destra, ma che il crollo dei tassi di natalità porti a problemi più gravi della politica elettorale.

Il comportamento di voto nell’elettorato Usa ha visto una netta divisione tra uomini e donne: di queste ultime il 53 per cento ha dato la preferenza a Kamala Harris (in base agli exit poll). «Il suo più grande vantaggio è stato tra le donne più giovani, che l’hanno sostenuta con il 61 per cento, e le donne nere, che l’hanno sostenuta con il 91 per cento. Alcuni democratici hanno attaccato le donne bianche dopo le elezioni per aver “condannato Kamala”, in particolare le donne sposate di periferia, che si sono rivelate interessate a cose diverse dalla politica sessuale».

Ciò che ha portato grande vantaggio a Trump è stato proprio il consistente sostegno degli uomini, attirati anche dalla presenza di personaggi dalla mascolinità forte ed esibita, come l’opinionista Joe Rogan, commentatore televisivo, comico ed esperto di arti marziali, e Elon Musk, imprenditore visionario e miliardario (una combinazione non per forza rassicurante). Una proposta che ha convinto la maggioranza degli uomini bianchi ed ispanici della classe operaia oltre a «uno sbalorditivo 21 per cento tra gli afroamericani maschi, più del doppio della sua percentuale con le donne nere. Tra gli uomini bianchi sotto i 30 anni, ha vinto con uno sbalorditivo 14 punti».

Non dovrebbe stupire così tanto, a meno che non si faccia proprio l’atteggiamento di schifata superiorità morale tipico del fronte progressista: che cosa offrivano infatti i “colleghi” democratici? Una spocchiosa ostentazione di mascolinità ridotta se non addirittura rinnegata. «Il punto più basso, tuttavia, è stato il tentativo ridicolo di fabbricare degli uomini-maschio che “mangiano carburatori a colazione” e votano per Harris, in uno spot televisivo che in seguito si è rivelato essere stato creato indipendentemente dalla sua campagna ufficiale da attori e scrittori di Hollywood».

Il divario sessuale nella politica Usa esiste e si è accentuato: la base elettorale del Grande Vecchio Partito, i Repubblicani, sono i macho boys, le giovani donne single sono invece il nucleo vitale dell’elettorato democratico. L’esistenza di un divario di genere non è certo una novità e non è nemmeno un fenomeno solo americano: «La sessualizzazione della politica è un fenomeno globale. Nel Regno Unito, ad esempio, le giovani donne si identificano come liberali a un tasso del 25 per cento più alto rispetto agli uomini. In Germania, tendono a sinistra a un tasso del 30 per cento più alto. Analogamente, in Canada, secondo un sondaggio del 2020, le donne erano favorevoli ai liberali con un rapporto di due a uno, mentre gli uomini erano leggermente favorevoli ai conservatori».

Idem in Europa dove i giovani sotto i 30 anni, soprattutto maschi, si stanno spostando a destra, soprattutto in Spagna Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi e Polonia. Lo stesso avviene nella vicina e lontana Corea del Sud. Proprio nel paese asiatico si mostra nella sua gravità l’effetto di una distanza ostile tra uomini e donne che eccede di gran lunga la politica e, anzi, arriverà a minacciarne le basi stesse. «Un tempo noti per la loro cultura familiare, nota l’ Atlantic , più di un terzo degli uomini coreani e un quarto delle donne coreane che ora hanno tra i 35 e i 39 anni non si sposeranno mai. Molti altri non avranno mai figli. Divari simili sono osservabili in tutta l’Asia orientale. In Giappone, precursore della moderna demografia asiatica, si prevede che le famiglie mononucleari raggiungeranno il 40 per cento di tutte le famiglie entro il 2040. Valori tradizionali come duro lavoro, sacrificio e lealtà sono ampiamente rifiutati dalla nuova generazione shinjinrui o “nuova razza”. Questi giovani giapponesi, scrive un sociologo, stanno “facendo da apripista a un nuovo tipo di esistenza di alta qualità, bassa energia e bassa crescita”».

L’America, purtroppo, è in disastroso vantaggio strategico nell’attacco culturale pervasivo alla famiglia e alle relazioni naturali tra uomo e donna. Imperversano dai primi anni Novanta gli studi di genere e queer, i laureati in questi corsi di laurea sono ormai migliaia e non sono particelle inerti. Nell’agenda progressista sempre in aggiornamento è arrivato ai primi punti in elenco anche il post-familismo, già oggetto di indottrinamento scolastico, una folle istanza spinta anche dal movimento Black Lives Matter che promuoverebbe una sorta di educazione collettiva dei figli. «Anche tra i democratici di base, il sostegno alla priorità del matrimonio e dei figli è molto meno comune che tra i sostenitori di Trump, nota Pew.» La crisi tra uomini e donne significa ormai anche vera e propria crisi del sesso: in Giappone un terzo degli uomini è vergine fino ai 30 anni, un quarto dei cinquantenni non si sposerà mai.

«Questa “recessione del sesso” è evidente anche in Finlandia, Svezia, Danimarca e Regno Unito. Anche gli Stati Uniti stanno assistendo a un calo del sesso, in particolare tra i giovani, e una donna single su quattro non ha un partner da due anni. Sempre più persone, nota l’Institute for Family Studies, si divertono online, mentre ora stiamo assistendo all’emergere di robot sessualmente potenziati.» La riscossa delle cosiddette “gattare senza figli” non potrà durare a lungo, perché i gatti, anche se li chiamiamo “figli”, non sono persone e nemmeno elettori. La crisi che si aggiunge a – o forse è persino alla radice di – tutte le altre crisi in atto è proprio quella che vede uomini e donne sempre più distanti e incapaci di entrare in relazione tra loro. Serve fiducia nella possibilità di rapporto, nell’uguaglianza di valore tra uomo e donna e nella benefica e irriducibile diversità tra i due, affinché torni ad essere quella originaria screziatura che spezza l’omogeneità e innesca la vita. (Fonte foto: Imagoeconomica/Pexels.com)

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