“Laboratorio per bambin* trans e gender creative – storie di bambin* e ragazz* trans dai 5 ai 14 anni”. Questo il titolo dell’evento che si terrà il prossimo 28 settembre alle ore 10 presso l’Università di Roma Tre, nella sede a pochi passi dalla stazione Termini. In locandina, oltre a un’inflazione di asterischi e una confusione linguistica generalizzata, si specifica che il tutto sia stato approvato dal Comitato etico dell’Università di Roma Tre.
Per ulteriori informazioni rivolgersi a Michela Mariotto. Chi è costei? La titolare di assegno di ricerca presso l’Università Roma Tre. Non una qualunque, ha studiato in Spagna, all’Universitat Autonoma de Barcelona, dove durante il dottorato ha realizzato uno studio indipendente sulle famiglie di bambin* gender variant. In parole povere, una guru del settore. Da una breve ricerca online si apprende che la ricercatrice è collegata all’associazione “GenderLens”, formata da attivisti impegnati per il riconoscimento dell’identità di genere fluida, “creativa” e “trans” dei bambini, sin dall’infanzia.
Da un’intervista del 2019 alla dottoressa Michela Mariotto, risultano chiari i suoi intenti: «Compito degli adulti e delle istituzioni è creare lo spazio che permetta di al/la bambin* di prendere consapevolezza della propria soggettività, un processo che richiede tempi diversi per ciascuna persona e che non è sempre facile da inquadrare come concetto e descrivere con le parole a disposizione». Sempre a detta della ricercatrice, oggi «mancano informazioni e referenti validi in cui riconoscere la propria esperienza». Ecco che i genitori sarebbero alle prese con «pediatri e gli psicologi interpellati [che, n.d.r.] banalizzano la varianza di genere, sostenendo che si tratta di una fase passeggera e che il tempo sarà un prezioso alleato per riportare tutto alla “normalità”. Se questo è vero in molti casi, c’è il rischio però che in questo modo non vengano prese in seria considerazione le esperienze di quei/le bambin* che si identificano con persistenza in un genere diverso rispetto a quello assegnato, o che vivono il genere in maniera fluida, aumentando le probabilità per loro di sperimentare ansia e depressione».
Non è difficile immaginare che il genitore medio di fronte a questa locandina non inorridisca. Anzi, ne venga quasi attratto. Oggi è normale che arrivino dall’esterno i dettami dell’educazione, siamo abituati ad affrontare spannolinamento e svezzamento scrollando reels. A dar retta alla scienza, unica detentrice del sapere. A voler apparire a tutti i costi inclusivi e moderni, così, a dirlo sono sempre gli esperti, i bambini potranno crescere sereni e senza traumi. Pertanto, se arriva la ricercatrice di turno – che ha studiato più di noi e che fa leva sulla retorica “all’estero sono più avanti” – che cosa vuoi che ne sappia un semplice genitore? Se poi ci mettiamo come esca l’insegnante montessoriana siamo a cavallo. È risaputo infatti che oggi basta scrivere “Montessori” e si otterrà una folla di genitori bramosi di assicurare ai figli una crescita il più possibile in linea con le tappe di sviluppo.
Ma come siamo arrivati a diventare genitori strumentalizzati dalle ideologie? A pensare che la tesi che si nasca nel corpo sbagliato e che quindi sin dalla nascita ci si senta dell’altro sesso possa avere una qualche base scientifica? A lasciare che i bambini passino il loro tempo a “giocare” con la propria identità? A permettere che gli adolescenti perdano la propria vita tra farmaci e interventi chirurgici anziché vivere?
La dottoressa Lisa Marchiano, psicanalista e scrittrice americana che fa parte del team di specialisti che compongono Geta (Gender Exploratory Therapy Association, associazione di terapeuti scettici in merito all’affermazione dei giovani che si identificano come trans), ha affermato in un’intervista che «i genitori con un figlio coinvolto in questo vasto fenomeno culturale si trovano spesso soli. Se non si precipitano immediatamente ad affermare la propria figlia, medici, terapisti, amministratori scolastici e altri possono accusarli di essere “transfobici”. Possono vedere la loro preziosa figlia avviarsi verso la medicalizzazione a vita, mentre gli amici fanno il tifo per lei».
Il modello affermativo in voga prevede che «quando si tratta di conoscere il genere di un bambino, non sta a noi dirlo, ma ai bambini dirlo». Dunque si prende per buona la dichiarazione del bambino o dell’adolescente sui sentimenti e i pensieri legati al genere, incoraggiando i genitori, la scuola e le altre autorità ad accettare tali dichiarazioni. È poi sempre la dottoressa Marchiano ad affermare che «sebbene l’espressione “nato nel corpo sbagliato” sia talvolta utilizzata per descrivere l’esperienza dell’incongruenza di genere, si tratta al massimo di una metafora, non di un fatto empirico». In breve, abbiamo perso di vista il reale.
L’appello dunque, oltre a segnalare l’impegno di Pro Vita & Famiglia per richiedere al rettore di Roma Tre di annullare l’iniziativa, è di restare lucidi. In merito alla presunta “valenza pedagogica” di certi eventi, prendiamo in prestito le parole del pedagogista Fulvio Pesci, professore associato di Storia della pedagogia presso La Sapienza e responsabile dell’équipe scientifica dell’associazione Non si tocca la famiglia – che, tra le altre cose, è stato presidente del Comitato scientifico della Fondazione Montessori Italia dal 2013 al 2023 -: «In certe fasi dello sviluppo, insistere per presentare alcune tendenze come non soltanto normali ma persino preferibili, secondo me è innanzitutto un errore psicologico e pedagogico. Oltretutto chi propone questi programmi, scherza col fuoco: cerca determinati risultati ma non è detto che li consegua. Orientamento e disorientamento sessuale sono due facce della stessa medaglia. È la maturazione che porta poi a cercare quell’armonia con il proprio sé, che certamente è un esito di tutta l’età evolutiva fino all’età adulta. Il tema non è mai da trattare sul piano clinico. Il bambino o l’adolescente che hanno dubbi sulla propria identità non vanno incentivati a coltivare questi dubbi e ciò vale anche per i loro genitori. Si tratta di situazioni piuttosto frequenti. Poi l’incontro con l’altro sesso e il raggiungimento della pienezza affettiva decidono l’orientamento definitivo, senza ripensamenti».
Era l’anno 2014, e da lì col fuoco si è scherzato anche troppo. Bene rimanere lucidi, ma è urgente sapere che questa è una battaglia, non solo di buon senso, ma anche spirituale. E sarà una lotta ad armi impari se non indossiamo «le armi della luce» (Rm 13,12) per difendere i bambini da chi vuol fargli credere che il loro corpo è la prima di una lunga serie di menzogne a cui sottostare.
(Foto: Facebook/Pexels.com)
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