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12.12.2024

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Silicon Valley, quando la lotta alla denatalità puzza di eugenetica
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10 Settembre 2024

Silicon Valley, quando la lotta alla denatalità puzza di eugenetica

Stando alle previsioni della rivista medica The Lancet, entro il 2100, 183 dei 195 Paesi del mondo vedranno il loro tasso di fecondità scendere al di sotto di 2,1 figli per donna, soglia limite del “tasso di sostituzione”, quando cioè il numero di donne nella generazione dei figli è uguale al numero di donne nella generazione dei genitori. Di fronte a questo drasticocalo delle nascite, di cui anche il nostro Paese ne sta ravvisando la tendenza, si dividono per ragioni morali (e anche pratiche) due “gruppi”, i quali sembrano condividere il medesimo intento (ma così non è): i pro famiglia e i pronatalisti.

Partiamo dal fatto che i secondi sono ben radicati nell’ambiente della Silicon Valley e vengono da sé le soluzioni da loro proposte per invertire la rotta della denatalità. «Il collasso della popolazione dovuto ai bassi tassi di natalità rappresenta un rischio molto più grande per la civiltà rispetto al riscaldamento globale», twittava tempo fa Musk, che con i suoi dodici figli dà man forte al pronatalismo. A un primo sguardo questo movimento potrebbe essere ricondotto a “qualsiasi atteggiamento o politica che sia pro-nascita, che incoraggi la riproduzione, che esalti il ruolo della genitorialità”. Pertanto, se così fosse, si rifletterebbe in incentivi finanziari per le famiglie numerose, generosi congedi parentale e servizi all’infanzia accessibili a tutti, per esempio. In realtà, provenendo da élite che comunque non avrebbero alcun problema finanziario, si rende più manifesta la faccia inquietante del pronatalismo: l’importante non è quanti si riproducono, ma chi si riproduce.

Per dirla in altre parole, più bambini ma di un certo tipo. Oltre a ricordare – neanche troppo velatamente – un certo atteggiamento eugenetico, tale che sarebbe bene lasciarsi alle spalle (ma ancora ben ancorato nella nostra società, come dimostra il nostro numero di settembre), è rilevante che molti pronatalisti sono fervidi sostenitori del test genetico preimpianto (Pgt). Quest’ultimo è un esame prenatale particolarmente precoce che permette di analizzare il Dna embrionale e determinare eventuali anomalie genetiche – persino patologie come l’emicrania o l’obesità -, selezionando gli embrioni migliori per i genitori che vogliono procedere alla fecondazione in vitro. La chiamano “ottimizzazione embrionale”. A guidare il movimento sono i coniugi Collins, Malcom e Simon, che come soluzione al calo delle nascite propongono un approccio totalmente razionale (che sfiora l’ossessione) per tenere sotto controllo tutto: dalla selezione genetica, ai nomi dei bambini, all’educazione da seguire.

«L’umanità non è in una posizione molto buona oggi. E penso che, se nessuno risolve il problema, potremmo benissimo scomparire», ha dichiarato Malcolm Collins, intervistato da Business insider. I coniugi Collins hanno fatto ampiamente uso della pratica di ottimizzazione prima descritta: nel 2018 si sono messi a produrre e congelare un gran numero di possibili embrioni vitali, per riutilizzarli in futuro a loro piacimento – ora sono “a quota” tre, ma stimano di voler “produrre” almeno sette figli. Secondo loro, la genetica conta più dell’educazione. Nella pratica, si apprende dal Daily Mail, ai loro figli non comprano giocattoli, ma hanno appeso al collo un i-Pad, non festeggiano il Natale ma “il Giorno del Futuro” quando “la Polizia del Futuro” porterà loro dei doni.

Sono numerosissime le start-up, come Genomic Prediction o Orchid, che «rilevano i punteggi dei test poligenici […] promettendo ai genitori di essere in grado di valutare il potenziale cognitivo, le capacità intellettuali, il potenziale successo accademico e persino i tratti caratteriali del futuro bambino», ha spiegato Cécilia Calheiros, dottoressa in sociologia, su Le Figaro del 21 agosto. Si calcola che negli Stati Uniti il 75% delle cliniche che offrono questi servizi permettono alle coppie di sequenziare più del 99 per cento dei genomi di un embrione. Con un investimento iniziale di 12 milioni di dollari, l’interesse per start-up simili nel tempo è solo cresciuto, soprattutto tra le élite della Silicon Valley.

Di fronte a tutto questo, che è senz’altro da condannare apertamente, è doveroso porsi alcune domande: il desiderio di un bambino sano – posto che tra calcoli e ultime tecnologie si possa ancora parlare di “desiderio” – vale il costo di tutte le vite considerate indegne? In un’epoca materialista come la nostra, rendere un bambino un ulteriore oggetto di lusso sul quale concentrare tutte le energie e gli sforzi economici (ahimè, anche tecnologici), potrà spingere più coppie a mettere al mondo dei figli? Anche perché, è scontato specificarlo, l’alto costo del pronatalismo osannato dalla Silicon Valley esclude di base la maggior parte delle persone.

Ecco che entra in gioco l’approccio pro-famiglia, che riconosce il matrimonio e la famiglia unica vera base per un rilancio demografico. Preoccuparsi che i figli – guardati innanzitutto come persone dotate di desideri, bisogni e di un’anima creata per la Vita eterna, aggiungerei – nascano in ambiente solidi dal punto di vista relazionale è il punto da cui partire. La famiglia che vive i bambini come doni da curare, senza pretendere e programmare al dettaglio, è la forza più potente che abbiamo a disposizione.

Risuonano così le parole della dottoressa Catherine Pakaluk, dalla Catholic University of America – economista e madre di otto figli -, di cui trovate l’interessante intervista sul Timone di questo mese: «I bassi tassi di natalità, più che l’impoverimento, rispecchiano la nostra ricchezza. La vera crisi è spirituale». Altro che tecnologie e previsioni, abbiamo bisogno di una rivoluzione culturale e spirituale che faccia dire agli uomini e alle donne di questa Terra, «perché non avere un altro figlio?», rispondendo così all’appello traboccante d’amore che Dio ha fatto: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra». (Fonte foto: Screenshot, Weedran – Matrix, YouTube)

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