Teresa d’Avila è stata beatificata nel 1614 e proclamata santa nel 1622. Fu san Paolo VI, nel 1970, a nominarla dottore della Chiesa. Oggi, 15 ottobre, è la sua memoria liturgica, così la ricorda il martirologio romano: «Vergine e dottore della Chiesa: entrata ad Ávila in Spagna nell’Ordine Carmelitano e divenuta madre e maestra di una assai stretta osservanza, dispose nel suo cuore un percorso di perfezionamento spirituale sotto l’aspetto di una ascesa per gradi dell’anima a Dio; per la riforma del suo Ordine sostenne molte tribolazioni, che superò sempre con invitto animo; scrisse anche libri pervasi di alta dottrina e carichi della sua profonda esperienza». Visse nel cosiddetto Siglo de Oro periodo di massimo splendore artistico, politico-militare, e letterario della Spagna e ne è a pieno e insufficiente titolo esponente di rilievo. Ciò che ha orientato definitivamente la sua vita e l’ha resa così feconda non ha nulla a che fare con i successi mondani, anche se lei stessa ha passato un lungo periodo distratta da vanità e frivolezze (che forse a noi sembrerebbero già aspri rigori ascetici), fino a che il suo Signore, quello che la chiamerà la sua Sposa, non le ha fatto comprendere che uno solo era l’amore per il quale valesse la pena spendersi, fino a consumarsi.
Già questo aspetto della sua curva esistenziale dovrebbe rassicurarci e anche metterci fretta: ogni vita è una missione urgente che deve compiersi e può farlo solo nel rapporto col suo Creatore e Salvatore. E questo vale per chi ha talenti fuori scala come la santa spagnola e per chi invece può contare su una dotazione umana più spartana. Prima di arrivare ad essere la prima donna ad essere proclamata dottore della Chiesa ha passato un’infanzia privilegiata perché appartenente ad una famiglia benestante, ha patito il grande dolore della perdita della madre e, ancora bambina, ha architettato e messo in atto una fuga col fratellino Rodrigo con la seria intenzione fanciullesca di andare a morire martire nella “terra dei mori”. Lo zio la sorprende alla porta della città, Avila, la stessa nella quale era nata nel 1515, e la riaccompagna a casa. Il padre la affida come educanda come a un monastero femminile, quello di santa Maria di Grazia, dell’ordine agostiniano. Uscita dal monastero per ragioni di salute nel 1532, decise tre anni più tardi di entrare nel Carmelo, dalle carmelitane dell’Incarnazione, vincendo anche questa volta con la fuga le resistenze del padre che si era opposto a questa sua scelta. Da Teresa d’Avila abbiamo imparato in tanti anche ad amare san Giuseppe, lo sposo di Maria e padre terreno di Gesù: la santa era certa di dovergli il miracolo della sua guarigione da un’altra grave – e ignota – malattia che l’aveva resa paralitica per tre anni.
Nonostante vivesse da consacrata in uno degli ordini più antichi della storia cristiana, non aveva ancora deciso totalmente per Dio. Fu Lui, direttamente, coprendola di grazie ed esperienza mistiche a convincerla e avvincerla totalmente al suo amore. E quanto più si inoltrava nella relazione con il Signore, tanto più diventava capace e operosa nell’azione esterna, di riformatrice e madre di molte anime. Mentre si addentrava nelle stanze del suo Castello interiore, si dedicava alla fondazione di altri conventi carmelitani dove riportare ad un maggior rigore e austerità l’osservanza della regola monastica. Aveva Dio nel suo intimo, vedeva il Signore nel suo splendore di risorto, era stata chiamata sua sposa, Lui stesso l’aveva trafitta con una freccia rovente sigillo dell’Amore, eppure anche lei ha avuto bisogno del dolce beneficio dell’amicizia umana per procedere nel suo cammino e realizzare le grandi opere che ancora si rintracciano nella geografica spirituale e umana d’Europa. Sostenuta da san Pietro d’Alcantara nel 1562 inaugura il piccolo monastero di san Giuseppe, con le prime quattro novizie e dopo 5 anni intraprende numerosi viaggi per fondare nuovi monasteri su richiesta di vescovi e nobili di varie città e con il sostegno del generale dei carmelitani, padre Giovanni Battista de’ Rossi. Alla sua morte avrà lasciato ben 18 monasteri perfettamente strutturati.
Con l’aiuto dell’amico e grande mistico a sua volta san Giovanni della Croce, riuscirà a introdurre la riforma anche nel ramo maschile dell’ordine. La sua fatica non sarà solo di natura pratica e organizzativa, ma anche spirituale e alimentata da vere e proprie persecuzioni all’interno della stessa gerarchia ecclesiastica e da parte dei religiosi che si opponevano al rigore della sua riforma. Sia santa Teresa sia san Giovanni della Croce vennero rinchiusi, san Giovanni messo in carcere, lei trattenuta a forza nel monastero di Toledo. Nonostante, anzi attraverso queste e altre tribolazioni perseverò fino alla morte nella sua opera. Non a tutti tocca una chiamata simile, ma ad ognuno è chiesto di spendere la vita nell’opera più importante, che è quella di scoprire l’amore di Dio su di sé e di diffonderlo. Come santa Teresa di Gesù, dunque, possiamo a nostra volta lasciarci consolare dalle parole che lei stessa ha affidato ad una poesia: Nulla ti rubi,/nulla ti spaventi:/tutto passa./Dio non muta./Tutto ottiene/la pazienza;/a chi Dio possiede/nulla manca./Dio solo basta. (Fonte foto: Wikipedia, Public Domain)
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