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Il Covid-19 letto con gli aforismi del reazionario Gómez Dávila
NEWS 30 Maggio 2020    di Giulia Tanel

Il Covid-19 letto con gli aforismi del reazionario Gómez Dávila

In questo periodo di isolamento forzato causa Covid-19 si è registrato un esponenziale, e in un certo senso comprensibile e giustificato, aumento dell’uso dei social network per rimanere in contatto con il mondo esterno. Contestualmente, sono anche cresciuti i cosiddetti “tuttologi del web”: soprattutto la prima fase della quarantena è stato infatti tutto un fioccare di tweet, post, dirette Instagram e quant’altro, in un profluvio di opinioni sui temi più disparati…

Ebbene, che cosa avrebbe detto lo scrittore reazionario colombiano Nicolás Gómez Dávila (1913-1994), morto 26 anni fa, di fronte a tutto questo? Lui, che l’American Conservative definisce in maniera puntuale «The best Tweeter in History», alla luce del fatto che il suo pensiero è tutto racchiuso in centinaia di aforismi che si aggirano attorno ai 140 caratteri? Affermava infatti che «[…] tra poche parole è difficile nascondersi come tra pochi alberi», così come che «la prolissità non è un eccesso di parole, ma una carenza di idee», mentre «coltivare la lucidità è il fine della cultura».

Prima di entrare in medias res, urge una premessa: rispetto alla fatica dell’isolamento tra le mura domestiche, va detto che Davila probabilmente non avrebbe sofferto più di tanto, confortato dai circa 30.000 libri presenti nella sua biblioteca: per lui, infatti, la “biblioterapia” era l’unica cura utile contro il tedio dell’esistenza.

Dunque, cosa avrebbe detto il reazionario se si fosse trovato a vivere l’attuale pandemia? Innanzitutto che il mondo è rimasto così sconvolto dall’emergenza sanitaria essenzialmente alla luce del fatto che «essere moderni è vedere la morte di un altro senza emozione e non pensare mai alla propria». Ebbene, il Covid-19 ha scardinato questo assunto e ha messo di fronte al mondo il monito della Genesi (3, 19) per cui «Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris» («Ricordati, uomo, che polvere sei e in polvere ritornerai).

Accanto a questo, un altro mito è venuto a cadere: il fatto di poter controllare il mondo. Nulla di più inappropriato, come rileva Gómez Dávila con la sua consueta ironia: «Il mondo moderno sembra invincibile. Come i dinosauri estinti».

«Reazionario ma soprattutto visionario», scrive Itzu Diaz, «Gómez Dávila detestava l’idea di progresso, pensiero gregario e tutto ciò che è emerso nel maggio 1968. Il suo amore per il mondo moderno era molto limitato: “Ogni giorno diventa più facile sapere cosa dovremmo disprezzare: ciò che l’uomo moderno ammira e il giornalismo elogia”. Suppongo che includa pantaloni a vita alta per uomo, elettrodomestici troppo intelligenti e linguaggio di genere». E in questo, c’è da dire, i media rivestono un ruolo di primo piano, ma anche sul loro ruolo lo scrittore colombiano aveva una sua opinione: «Da un lato, ha minimizzato l’importanza che si sono dati. D’altra parte, ha predetto esattamente ciò che stiamo vivendo oggi, quando l’informazione e la manipolazione sfuggono al controllo e alle reti: “I media oggi consentono ai cittadini moderni di scoprire tutto senza capire nulla”».

Viviamo in una «valle di lacrime» e nulla può salvarci, dunque? Sarebbe forse così se non si tenesse conto dell’ambito religioso. Gómez Dávila poneva infatti al centro della propria esistenza l’Amore di Dio, vissuto in seno alla tradizione millenaria della Chiesa, che nei suoi uomini in carne e ossa è chiamata a non scendere a patti con il mondo e a farsi custode e apostola della Verità. Quella verità che, scriveva ancora il colombiano, «è la gioia dell’intelligenza».


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