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La fede torna al cinema
NEWS 2 Gennaio 2019    di Giuliano Guzzo

La fede torna al cinema

«Chiunque controlli il cinema», avvertiva già Thomas Alva Edison, «controlla il mezzo più potente di manipolazione delle masse». Ora, anche se di certo non ne controlla il settore e soprattutto non ha alcuna finalità manipolatoria, anzi, per il cinema religioso quella che inizia potrebbe essere una buona, anzi ottima annata. Del resto, già il 2018 era stato un anno speciale per il botteghino, se solamente si pensa all’enorme successo riscosso dal film I Can Only Imagine – pellicola basata sulla vera storia di Bart Millard, cantante della band cristiana MercyMe che, morto il padre per un cancro, trova poi nel dolore l’ispirazione per la sua canzone di maggior successo -, che ha incassato oltre 83 milioni di dollari, di cui 17 solo nel week end di apertura.

Ebbene, il 2019 promette di portare al botteghino diversi nuovi film basati su esperienze di fede. Questo, almeno, trapela dagli Stati Uniti dove il primo febbraio 2019 è prevista l’uscita di The Least of These, basato sulla vera storia del missionario Graham Staines che fu martirizzato in India nel 1999. «So che è stato Dio a chiamarmi a prendere parte ha questo film», ha dichiarato l’attore Stephen Baldwin, che ha preso parte alla pellicola.

A metà del secondo mese dell’anno andrà poi nelle sale Heavenly Deposit, avente per protagonista Peter, un attore che ha smesso di credere in Dio dopo la morte del padre ma che poi, proprio in un momento di difficoltà, ritroverà la retta via della devozione.

A fine febbraio uscirà invece nelle sale Run the Race, che racconta la storia inventata ma non per questo meno godibile di due fratelli affrontano momenti difficili ma poi riescono a cavarsela grazie alla fede. Invece il mese successivo sarà la volta di XL: The Temptation of Christ, realizzato da Faithworks Pictures, una società di produzione indipendente che ha l’obiettivo di realizzare film cristiani, e che, come dice già il titolo, porterà in scena il digiuno di 40 giorni e 40 notti di Gesù nel deserto. A fine marzo uscirà poi The Islands, film storico basato sulla vicenda di Chiefess Kapiʻolani (1781–1841), membro importante della nobiltà hawaiana al momento della fondazione del regno di Hawai’i e dell’arrivo dei missionari cristiani, che diede una grande testimonianza di fede.

Ora, posto che non sarà purtroppo semplice vedere tutti questi nuovi film anche nelle sale italiane, che cosa insegna questa intraprendenza cinematografia statunitense? Essenzialmente la stessa cosa che soprattutto i don Camillo e Peppone di Guareschi ma anche, a suo modo, il don Camillo di Terence Hill testimoniano da decenni, e cioè che il pubblico – anche se a volte non si direbbe, o verrebbe da pensare l’esatto opposto – non è così insensibile ad un tema, quello del sacro e della fede, che invece rimane centrale e decisivo. Infatti, anche se da anni la cultura dominante insiste con il dichiarare la religione morta e il secolarismo trionfante, esistono indizi significativi che vanno nella direzione opposta.

Non s’intende qui certo negare un fenomeno quale quello della secolarizzazione, sia chiaro. Solo, sarebbe opportuno – per capire davvero e fino in fondo le dinamiche profonde dell’uomo occidentale – non fermarsi ai soli indici della frequenza alla messa domenicale o del numero di matrimoni celebrati, bensì anche considerare altri aspetti che, se da un lato non negano la crisi religiosa contemporanea, dall’altro comunque fanno emergere indizi incoraggianti sulla permanenza del bisogno di Dio. Indizi che, a ben vedere, possono costituire lo spunto per quella nuova evangelizzazione di cui l’Occidente, come gli ultimi papi hanno ripetuto a più riprese, ha disperato bisogno. Per ritrovare non solo la fede, ma anche sé stesso.


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