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Prima preghiera islamica a Santa Sofia: «Un giorno di lutto e sofferenza»
NEWS 25 Luglio 2020    di Giulia Tanel

Prima preghiera islamica a Santa Sofia: «Un giorno di lutto e sofferenza»

Si è svolta ieri, venerdì 24 luglio, la prima, affollatissima preghiera islamica a Santa Sofia, a Istanbul, dopo che le autorità turche – il 10 luglio scorso – hanno decretato che l’ormai ex Basilica cristiana, inaugurata nel 537 sotto Giustiniano, diventata moschea nel 1453 con la conquista di Costantinopoli per mano degli Ottomani e quindi convertita in museo da Atatürk nel 1934, tornasse a essere un luogo di culto islamico.

Una scelta, questa, che ha sollevato diverse polemiche, sia da parte di politici e di istituzioni internazionali, sia da parte di esponenti religiosi: lo stesso Papa Francesco, durante l’Angelus di domenica 12 luglio, si è detto «molto addolorato» per la decisione, così come una parte del mondo mussulmano ha criticato la scelta di Erdogan e chiedendo che ritorni sui propri passi.

SEGNALI DI MALCONTENTO DAL MONDO GRECO-ORTODOSSO, CON L’APPOGGIO DEI CATTOLICI

Tuttavia, ad assumere la posizione più critica nei confronti di questa decisione è stata la Chiesa greco-ortodossa: l’arcivescovo di Atene, Ieronymos II, primate della Grecia e della Chiesa Greca Ortodossa, ha infatti definito il 24 luglio «un giorno di lutto e sofferenza per tutta l’ortodossia, il cristianesimo e tutto l’ellenismo» e, in concomitanza con le prime preghiere recitate per la prima volta a Santa Sofia dopo 86 anni, ha deciso di officiare una funzione nella cattedrale metropolitana ortodossa di Atene.

Nel contempo, la Chiesa greco-ortodossa negli Stati Uniti, che conta 1,5 milioni di membri, ha celebrato ieri un giorno di lutto e l’arcivescovo Elpidophoros Lambriniadis si è recato alla Casa Bianca per incontrare il presidente Donald Trump e il vicepresidente Mike Pence e dopo l’incontro di giovedì ha dichiarato di aver condiviso con loro «il nostro profondo sgomento per la riconversione di Hagia Sophia in una moschea, ma anche le nostre continue preoccupazioni sulla sicurezza del Patriarcato ecumenico e sulle questioni di libertà religiosa. In vista del giorno di lutto di domani [ieri per chi legge, ndR], perseveriamo nella preghiera ma portiamo anche la nostra lotta ai più alti livelli di governo per azione e considerazione».

In America questa posizione chiara, forte del mondo greco-ortodosso non è rimasta isolata: la Conferenza episcopale degli Stati Uniti si è infatti unita nell’invitare i fedeli cattolici a vivere una giornata di lutto, con l’invito a suonare le campane funebri, a mettere le bandiere a mezz’asta e a recitare l’Hymnos Akathistos, ossia l’inno mariano più famoso dell’Oriente cristiano, oppure il Santo Rosario.

DIRITTI UMANI E LIBERTÀ RELIGIOSA A RISCHIO

La vicenda di Santa Sofia va a toccare un aspetto molto caro a Trump e al suo entourage: quello dei diritti umani, e in particolare della libertà religiosa. Come scrivevamo su queste colonne poco più di un mese fa, infatti, lo scorso 2 giugno il presidente ha firmato un decreto esecutivo atto a rendere la libertà religiosa una priorità della politica estera statunitense, con lo stanziamento di 50 milioni di dollari l’anno: «La libertà di religione per tutti i paesi del mondo», si leggeva nel decreto, «è una priorità della politica estera degli Stati Uniti, e gli Stati Uniti rispetteranno e promuoveranno con forza questa libertà».


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