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Salire sul patibolo con Tommaso Moro e imparare da lui cos’è la fedeltà  a Dio e alla propria coscienza
NEWS 14 Agosto 2017    

Salire sul patibolo con Tommaso Moro e imparare da lui cos’è la fedeltà a Dio e alla propria coscienza

di Giovanni Fighera

da La Nuova BQ

 

Il 5 luglio 1535 Tommaso Moro scriveva alla figlia Margherita: «Dubitare di Lui [Dio], mia piccola Margherita, io non posso e non voglio, sebbene mi senta tanto debole. E quand’anche io dovessi sentire paura al punto da esser sopraffatto, allora mi ricorderei di san Pietro, che per la sua poca fede cominciò ad affondare nel lago al primo colpo di vento, farei come fece lui, invocherei cioè Cristo e lo pregherei di aiutarmi. Senza dubbio allora Egli mi porgerebbe la sua santa mano per impedirmi di annegare nel mare tempestoso». Quando indirizzava queste parole alla figlia, Moro era già stato condannato a morte, ma non sapeva ancora che il giorno dopo sarebbe stato condotto al patibolo e giustiziato. Per gentile concessione del Re, forse in nome dell’antica amicizia, non venne sottoposto alla pena di alto tradimento, di cui era stato accusato, che prevedeva l’impiccagione e lo squartamento del condannato ancora vivo. Venne pregato dal Re di pronunciare poche parole prima di morire. Allora disse: «Chiedo di pregare per me. Testimoniate che sono morto nella fede e per la fede della santa chiesa cattolica. Muoio fedele servo del re, ma prima servo di Dio». Non gli venne meno neppure il suo tradizionale senso dell’umorismo. Si rivolse così al luogotenente che lo accompagnava al patibolo: «Per favore aiutatemi a salire, poi per scendere non disturberò nessuno». Era il 6 luglio 1535, festa di san Tommaso Beckett, uno dei santi più famosi di Inghilterra, l’Arcivescovo assassinato nel 1190 nella Cattedrale di Canterbury. La sua testa, esposta sul ponte di Londra, sostituì quella del cardinale Fisher, giustiziato il 22 giugno.

Nato a Londra nel 1478, Tommaso Moro era cresciuto con una salda cultura umanistica, nutrita dello studio del Latino, del Greco, della Filosofia, del Francese, nonché delle discipline del quadrivio. Divenuto avvocato nel 1501, si sposò nel 1504 con Jane Colt, da cui ebbe quattro figli. Poi nel 1511, alla morte della prima moglie, si risposò con Alice Middleton. Si distinse come giudice giusto, rapido ed equo, come letterato (chi non ricorda la sua Utopia del 1516). Ma ancor più, pur amando le lettere, diede la propria disponibilità al bene comune, mostrando capacità e percorrendo un rapido cursus honorum che lo portò ad entrare a far parte del Parlamento, a diventare speaker nella Camera dei Comuni, Cavaliere del regno e, infine, Cancelliere. Fu incerto se accettare la carica o meno. Sapeva bene che il re avrebbe barattato volentieri la sua testa per un castello in Francia. Pur tuttavia, il 25 ottobre giurò fedeltà al re, ma prima ancora a Dio.

Seguendo i consigli dell’astuto quanto crudele Oliver Cromwell, che dall’Italia era tornato in Inghilterra con una copia del Principe di Machiavelli e una del Defensor pacis di Marsilio da Padova, Enrico VIII, non avendo ottenuto il divorzio da Caterina da Aragona, cercò di ottenere il riconoscimento in altro modo per convolare a nuove nozze con Anna Bolena. Il piano si orchestrò in pochi anni. Nel 1531 il Re perdonò il clero «suo debitore», purché lo riconoscesse unico e supremo capo della Chiesa di Inghilterra, «fin dove lo» consentisse «la legge di Cristo». Il 16 maggio Tommaso Moro diede le dimissioni con il pretesto di motivi di salute. Il primo giugno del 1533 l’ex cancelliere, pur se invitato, non presenzia all’insediamento di Anna Bolena come regina. Fu un’onta che mai venne perdonata. Intanto, nominato nuovo Arcivescovo di Canterbury, anche se in odore di eresia e filo luterano e sposatosi di nascosto in Germania, Thomas Cranmer annullò il matrimonio di Enrico VIII con Caterina d’Aragona e riconobbe valido il nuovo matrimonio con Anna Bolena. In seguito all’Atto di successione e con l’Atto di supremazia (1534) furono costretti tutti a giurare fedeltà al Re capo della Chiesa di Inghilterra. Con l’Atto di tradimento (1535) che comminava la condanna di alto tradimento (pena di squartamento) a chiunque non avesse giurato vennero uccisi certosini, francescani, sudditi fedeli al Papa. Pochi si ricordano di loro, infangati come furono dalla propaganda di Enrico VIII che li bollò come traditori. Il Cardinale Fisher e Tommaso Moro vennero fin da subito venerati come santi dalla Chiesa cattolica. […]