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«Serve un idem sentire fondato sulla sussidiarietà». Intervista al prof Capozzi
NEWS 22 Maggio 2020    di Giuliano Guzzo

«Serve un idem sentire fondato sulla sussidiarietà». Intervista al prof Capozzi

È pubblico da appena qualche giorno, eppure sta già facendo molto parlare di sé. Ci riferiamo all’appello promosso dal noto economista Giulio Sapelli in favore, per l’Italia, di una ripresa economica seria e degna di questo nome, che traghetti cioè realmente il nostro Paese oltre la stagnazione del lockdown. Si tratta di un documento ben strutturato, contenente varie proposte – dal ripensamento del sistema fiscale alla sburocratizzazione del comparto economico –, ma in cui tornano pure concetti rilevanti sul piano etico, aventi a che vedere con la libertà individuale, il ruolo dello Stato nei confronti del cittadino, la sussidiarietà.

Dato che tra i primi firmatari di questo significativo documento, apparso su Formiche.net ma subito ripreso anche da altri vari organi di stampa nazionali, figurano intellettuali di tutto rispetto, tra cui il professor Eugenio Capozzi, docente universitario, storico nonché autore di testi significativi anche per il mondo cattolico – si pensi a Politicamente corretto: Breve storia di un’ideologia (Marsilio, 2018) -, Il Timone ha pensato di avvicinare quest’ultimo al fine appunto di saperne di più su questo appello.

Professor Capozzi, da quali considerazioni e da quali spinte è nata l’idea di questo appello, di cui lei è cofirmatario?

« Fondamentalmente, l’appello nasce dalla constatazione condivisa, e assai allarmata, che l’emergenza sanitaria causata dalla propagazione del virus Covid-19 ha prodotto in Italia, in misura mediamente molto maggiore che negli altri Paesi industrializzati occidentali, un blocco delle filiere produttive e una paralisi delle attività imprenditoriali, di industria e terziario, che potrebbe avere conseguenze rovinose sull’economia e sulla società.

In un paese già gravato da un debito enorme, soffocato da vincoli di bilancio europei che impediscono politiche di crescita e mai veramente uscito dalla recessione post-2008, sono stati adottati i provvedimenti di lockdown più drastici, persino a confronto di quelli cinesi che non coinvolgevano l’intera popolazione, unitamente alla diffusione di un clima allarmistico senza precedenti, generando un crollo della produttività, un aumento della disoccupazione e del disagio sociale, che rischiano di sfociare in una regressione della società intera ad uno stadio di sviluppo addirittura precedente a quello del boom economico postbellico. Ciò rende urgenti ed essenziali misure in senso opposto, misure di liberazione delle energie, insieme a messaggi psicologici di fiducia in un ritorno possibile ad una vera normalità (non il distopico “new normal” dei pannelli di plexiglass o delle spiagge sterilizzate), che diano un vero e proprio choc positivo, e favoriscano una nuova spinta vitale».

Nonostante la fase economicamente assai critica, l’appello lascia trasparire la consapevolezza che l’Italia ha ancora tutte le carte in regola per rialzarsi. E’ così?

«Senza dubbio. Nonostante tutte le sue difficoltà e situazioni di svantaggio, l’Italia resta il principale paese manifatturiero europeo dopo la Germania, e il suo sistema produttivo è caratterizzato da un alto livello di elasticità e adattabilità a situazioni inedite, come già si è visto in passato sia nella grande crescita degli anni Cinquanta/Sessanta, sia nella reazione alla grande crisi mondiale degli anni Settanta e al boom delle esportazioni dei decenni successivi, prima dei danni arrecati dalla globalizzazione “alla cinese”. I problemi fondamentali dell’economia italiana, come sappiamo da tempo, sono i freni poderosi, le zavorre che impediscono ad essa di esprimere l’inventiva, la creatività, l’iniziativa di cui la classe imprenditoriale del paese – in particolare quella delle piccole e medie imprese – è particolarmente dotata: la pressione fiscale insopportabile, la burocrazia inefficiente e soffocante, le infrastrutture insufficienti. Zavorre appesantite dalla concorrenza globale da un lato, e dall’altro dal modo in cui l’Unione europea e la moneta unica sono state trasformate in una cappa fatale che ne ha paralizzato il potere espansivo. Ora, il modo in cui il governo italiano – in caotico intreccio con le regioni – ha gestito l’emergenza Coronavirus ha prodotto un’ulteriore complesso di maglie soffocanti, che sono state estese a dismisura e anche ora, quando la forza del virus si sta chiaramente esaurendo, minacciano di continuare a tenere l’intera economia italiana – ed in particolare settori fondamentali e sensibilissimi come commercio al dettaglio, turismo, ristorazione – al palo per un tempo praticamente indefinito, con la prospettiva di un vero e proprio collasso del Pil e dell’occupazione. Per arginare questa prospettiva terribile e già vicina, il governo ha saputo varare semplicemente sussidi a pioggia, inefficaci sia a moderare efficacemente i danni subiti da tante categorie, sia a produrre uno slancio verso una autentica ripresa».

Nel documento echeggiano una critica alla mentalità statalista e un richiamo al principio di sussidiarietà. Sbaglio o sono le posizioni della Dottrina sociale della Chiesa?

«Credo che l’esigenza fondamentale di liberare urgentemente l’economia italiana dalle zavorre che la frenano sia un’esigenza comunemente sentita, molto al di là delle posizioni partitiche e ideologiche, e in particolare unisca visioni economiche liberali di varia estrazione e solidarismo cattolico. Una convergenza che era già maturata negli anni Ottanta/Novanta del Novecento, nel tramonto dell’iperstatalista “Repubblica dei partiti”, incarnandosi poi nella coalizione politica e sociale dell’”ipopolitica” berlusconiana (definizione di Giovanni Orsina), ma che è sempre stata sconfitta dal ritorno feroce dello statalismo iperburocratico, del “deep State” italiano. Il governo giallorosso Conte 2 rappresenta l’apoteosi di quest’ultima mentalità, unendo lo statalismo tradizionale della sinistra post-comunista con il modello “venezuelano” di stato iper-assistenzialista propugnato dal Movimento 5 Stelle. Lo “stato di polizia sanitaria” instaurato in occasione dell’epidemia, nel più assoluto disinteresse per la tenuta economica e sociale del paese (con l’idea rovinosa implicita che “qualcuno ci penserà”, probabilmente attraverso un vero e proprio commissariamento dell’Italia da parte dell’Ue) ha portato questo processo al suo stadio estremo, oltre il quale si profila un intero paese ridotto sostanzialmente alla dipendenza dalla carità pubblica. Proprio per questo è urgente ora, in questa particolare situazione, ritrovare un “idem sentire” su un approccio completamente opposto alla politica economica: quello fondato, appunto, sulla sussidiarietà, sull’iniziativa e sulla responsabilità dal basso, sullo Stato come sintesi di una comunità plurale piuttosto che come poliziotto, esattore, controllore di una società considerata sempre un covo di “furbetti”, approfittatori, o minorenni indisciplinati da “rieducare».


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