Nel 1959 Giovanni XXIII voleva che Guareschi scrivesse e disegnasse un nuovo catechismo, ma Giovannino rifiutò. Nonostante tutti i suoi racconti di don Camillo e Peppone raccontino un mondo in cui la dottrina cattolica è limpida e arcinota a tutti. Mangiapreti compresi
La questione di un “catechismo secondo Guareschi”, come tutte le questioni che si rispettino, ha le sue due brave parti: quella della storia e quella della geografia. E, come accade per tutte le questioni umane che si rispettino, quella della geografia è più complessa, anche perché si tratta di geografia dell’anima.
La parte storica è presto detta. Nel luglio 1959, tramite don Giovanni Rossi, presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi, Giovannino Guareschi venne contattato per sondare la sua disponibilità alla scrittura di un catechismo. Il mandante, se così si può dire, era papa Giovanni XXIII, sul soglio di Pietro da neanche un anno. Qui finisce la storia, perché, dopo averci riflettuto un po’, lo scrittore fece dire al Papa e a don Giovanni Rossi che, con rispetto parlando, solo due “matti” avrebbero potuto pensare a lui per un lavoro del genere. La Chiesa aveva già le sue belle gatte da pelare e, a modesto avviso dell’uomo della Bassa, non ne aveva bisogno di ulteriori.
La geografia della vicenda, invece, è tutt’altra cosa. E l’inizio dell’esplorazione non consiste nell’immaginare che cosa Guareschi avrebbe messo nel catechismo, posto che avrebbe seguito passo a passo quello di san Pio X con il supporto di una squadra di esperti. Questa, caso mai, sarebbe la conclusione del viaggio. Per arrivarci, bisogna capire come e in che misura il catechismo abbia influito sull’opera guareschiana: non quanto Guareschi ci sarebbe stato nel “catechismo secondo Guareschi”, ma quanto catechismo c’è in “Guareschi secondo il catechismo”.
Bisogna quindi passare al setaccio la saga di Mondo piccolo e partire da un banale dato statistico: nei trecentoquarantasei racconti che la compongono, una gran quantità di personaggi, dall’ultimo dei cristiani fino a Gesù Crocifisso dell’altare maggiore, parla di fede e di dottrina. Bene: in tutti questi discorsi non si trova una virgola fuori posto. Operazione di rara maestria che richiede una conoscenza della materia e una perizia letteraria fuori dal comune, massimamente là dove si mettono sulla pagina i discorsi del Cristo crocifisso, vale a dire il personaggio principale della saga. Chi prendesse in considerazione questo fatto senza ricordare che cosa fosse la società italiana degli Anni Quaranta e Cinquanta faticherebbe a comprenderlo. In realtà, la spiegazione è abbastanza semplice da rasentare la banalità: ciò che Guareschi sapeva mettere in bella ed efficacissima prosa era moneta comune tra cattolici e non cattolici. Il Catechismo, che era quello di san Pio X, con la sua sinfonia di domande e risposte, rotonde dove era necessario carezzare, e affilate dove era necessario incidere, in quegli anni continuava a formare il comportamento dei singoli e della società. Anche chi si proclamava ateo aveva sempre in testa quella sinfonia che da piccolo aveva imparato in parrocchia e gli rammentava che cosa è vero e che cosa è falso, che cosa è buono e che cosa è cattivo, che cosa è bello e che cosa è brutto. Non vi è dunque nulla di eccezionale nel fatto che uno scrittore usasse tale materia per raccontare gli uomini del suo tempo. Lo straordinario sta nel fatto che quei racconti si sono rivelati vere e proprie opere d’arte. Ma questa è un’altra storia, si entra nel campo banalissimo della genialità.
Oggi, pur con un simile genio a disposizione, tale miracolo letterario non potrebbe accadere perché, in questi decenni, i primi a gettare alle ortiche l’idea stessa di un compendio della dottrina preciso e inequivocabile sono stati proprio tanti cattolici. Di conseguenza, il catechismo ha cessato di essere un riferimento per il comportamento sociale anche di chi non crede: senza un don Camillo che parla in nome di Gesù crocifisso, Peppone non ha nessuna ragione per comportarsi da galantuomo. E, allora, come si fa raccontare la storia della loro amicizia e della loro collaborazione in nome di una Verità che li trascende e parla loro dalla Croce dell’altare maggiore?
Dossier: IL RITORNO DEL CATECHISMO
IL TIMONE N. 109 – ANNO XIV – Gennaio 2012 – pag. 46
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