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15.12.2024

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Aborto & obiezione di coscienza. Complici del male? MAI
31 Gennaio 2014

Aborto & obiezione di coscienza. Complici del male? MAI

 

  

 

Medici e infermieri hanno il dovere di non praticare direttamente l’aborto, ma anche di astenersi da ogni forma di collaborazione con il delitto. Come dimostra il Magistero di Giovanni Paolo II sui consultori cattolici tedeschi che rilasciavano il certificato per abortire

 

 

Non è mai lecito collaborare alla realizzazione dell’aborto volontario diretto. Si tratta di un principio vincolante che non ammette eccezioni, e che impone di non cooperare mai, in nessun caso, con le procedure previste dalle diverse leggi abortiste applicate nel mondo. La severità di questa prescrizione è messa in dubbio da alcuni, con riferimento a un’ipotesi particolare: quella del medico contrario all’aborto che accettasse di entrare nei consultori pubblici, animato dall’intenzione di salvare almeno qualche bambino dai ferri del chirurgo aborzionista. Il problema è che, se per raggiungere questo scopo, il medico è costretto a firmare anche un solo certificato di aborto, egli si macchia di un delitto gravissimo contro la vita. Basta questa eventualità a obbligarlo in coscienza a restarsene fuori dal consultorio, come obiettore di coscienza.
La cooperazione al male Ognuno di noi è impegnato in una serie molto fitta di relazioni di collaborazione con gli altri. Si pone quindi il serio problema morale di comprendere, alla luce della ragione, quando questa cooperazione favorisca il compimento del bene o del male. E quando, di conseguenza, sia doveroso negare la propria cooperazione.
I moralisti distinguono due categorie di cooperazione al male: la cooperazione formale e la cooperazione materiale:
a. La “cooperazione formale” si verifica quando l’intenzione del soggetto cooperante è la medesima dell’agente principale. Condividere lo stesso obiettivo non significa necessariamente desiderarlo. Un’infermiera che assiste un medico impegnato a compiere un atto eutanasico su di un paziente sta cooperando formalmente all’eutanasia stessa. L’infermiera può agire pensando che l’eutanasia è ripugnante, ma per obbedienza al medico; o pensando che così conserva il suo posto di lavoro; o pensando che l’eutanasia è un atto di pietà doveroso. La sua sarà sempre una cooperazione formale. La conclusione è che ogni collaborazione formale è sempre inammissibile, in quanto intrinsecamente malvagia.
b. La “cooperazione materiale” si verifica invece quando si coopera a un’azione malvagia senza condividere l’obiettivo dell’agente principale. Tuttavia, noi siamo moralmente responsabili non solo per ciò che intendiamo fare direttamente, ma anche per le conseguenze prevedibili delle nostre scelte. Sono un droghiere, e nella mia bottega vendo veleno per topi. Si presenta nel mio negozio il signor Rossi che ne vuole acquistare un certo quantitativo. Il signor Rossi è noto per i suoi furibondi litigi con la moglie, durante i quali ha fatto più volte ricorso alla violenza. Sono assalito dal dubbio fondato che egli intenda uccidere sua moglie con il veleno che mi sta chiedendo. In simili casi, il cooperatore potrà essere trattenuto da una serie di ragioni, che qui non possiamo elencare. Ne ricordiamo una: che la cooperazione materiale possa funzionare come “approvazione” del comportamento dell’agente principale, che si sente rafforzato nella sua inclinazione a perseguire l’azione malvagia.
In sintesi:
1. la cooperazione formale è sempre illecita; la cooperazione materiale può essere ammissibile solo a certe condizioni.
2. le azioni di favoreggiamento, cioè di cooperazione (sia formale che, in parte minore, materiale) sono da giudicare alla stregua di un’azione in cui il male sia compiuto direttamente, in prima persona.

Il caso dei consultori cattolici in Germania
La legge federale tedesca del 21 agosto 1995 stabilisce che l’aborto è unrecht, cioè ingiusto, ma che la donna non è punibile se lo pratica nei primi tre mesi di gravidanza, e dopo aver sostenuto un colloquio “dissuasivo” che dovrà essere attestato da un certificato. Senza questo documento, la donna che abortisce commette un reato punibile. La Chiesa aprì allora dei consultori con lo scopo di dissuadere le donne, ma ne sorse ben presto un problema: alla fine dei colloqui questi centri diventavano parte della procedura abortiva, rilasciando il certificato necessario a ottenere l’aborto. In altre parole: il fine era impedire un certo numero di aborti; il mezzo scelto era invece diventato cooperazione formale alla volontà della donna di abortire. Di più: un buon numero di operatori di tali consultori cattolici avevano attitudini corrotte nei confronti della scelta di abortire, e adottavano una visione permissiva nel consigliare le donne. Robert Spaemann scrisse in proposito che alcuni di questi centri di assistenza cattolici erano diventati «preda di una mentalità pro-aborto».
Giovanni Paolo II è intervenuto per mettere fine a questa situazione, incontrando la resistenza dei vescovi tedeschi, che pensavano: meglio mantenere un filo di contatto con le donne intenzionate ad abortire che abbandonarle  a loro stesse. Il Papa ha dovuto scrivere ai vescovi per ben tre volte: nel 1995, nel 1998 e nel 1999. Famiglia cristiana del 25 febbraio 1998 riportava questo giudizio di monsignor Hellmut Puschmann, presidente della Caritas tedesca: «È vero che il certificato di consulenza consente alle donne di abortire, ma la consulenza di un centro cattolico serve solo a lottare per la vita, a offrire una speranza e una motivazione per non interrompere la gravidanza. Nel 1996 ci sono stati 130 mila aborti in Germania, e nello stesso periodo 20 mila donne hanno chiesto la consulenza ai centri della Caritas perché in dubbio se abortire. Alla fine, circa il 25 per cento di queste ha tenuto il bambino: circa 5 mila vite sono state salvate ». Una contabilità apparentemente inattaccabile. Ma anche un modo di ragionare tipicamente proporzionalista, secondo il quale il male – magari definito “minore” – si può legittimamente scegliere se serve a evitare un male maggiore. Il settimanale dei paolini faceva notare che soltanto tre o quattro vescovi tedeschi erano contrari alla partecipazione dei consultori cattolici al sistema statale, e di questi, soltanto uno, il vescovo di Fulda, Johannes Dyba, aveva disposto che nella sua diocesi non avvenisse la consulenza prevista dalla legge, definendo il certificato una vera e propria «licenza di uccidere».
Di fronte all’intervento del Papa, il vescovo di Stoccarda Walter Kasper e il presidente della conferenza episcopale tedesca Karl Lehmann avevano pubblicamente espresso il loro dissenso da Roma. Sullo stesso numero di Famiglia cristiana si leggono le parole di padre Peter Hünermann, docente di Teologia dogmatica a Tubinga e presidente del “Network mondiale delle associazioni teologiche cattoliche”: «Molti fedeli sono delusi e arrabbiati per la rigidità con cui il Vaticano affronta certe questioni, come ad esempio il ruolo del laicato nella pastorale oppure l’atteggiamento verso i divorziati risposati. Non è tempo di trionfalismi per la Chiesa, questo. Serve un po’ di sano realismo. E la realtà ci dice che è a rischio la sopravvivenza stessa della fede e delle comunità cristiane. A Roma dovrebbero tenere conto della situazione in cui si trovano i nostri vescovi e dar loro più fiducia». Ma il Papa assunse una decisione drastica: i consultori cattolici non avrebbero più dovuto emettere il certificato per non essere più cooperatori del delitto di aborto. 

Attualità di questo insegnamento
Il giudizio della Chiesa su questa particolare forma di cooperazione all’aborto è oggi di particolare attualità, di fronte alla possibilità che anche in Italia le strutture sanitarie pubbliche aprano le loro porte – in maniera sistematica e normata da nuove leggi – ai volontari dei Centri di Aiuto alla Vita. È certamente un bene che le donne intenzionate ad abortire incontrino persone di solida formazione e di salda convinzione antiabortista, pronte ad aiutare la vita minacciata. Ma questa strada sarà lecitamente percorribile solo a patto che:
a. obiettori di coscienza e volontari non siano in alcun modo coinvolti con le procedure che portano all’intervento abortivo;
b. obiettori di coscienza e volontari non siano costretti a tacere il giudizio negativo sulla intrinseca ingiustizia della legge 194 del 1978;
c. obiettori di coscienza e volontari non attenuino il rigoroso rifiuto in linea di principio di ogni ipotesi di aborto volontario, e siano sempre pronti a proclamare pubblicamente tale giudizio di verità.

Per saperne di più…

 

Le lettere di papa Giovanni Paolo II ai vescovi tedeschi sono una lettera personale del 21 settembre 1995 e due lettere che si possono leggere sul sito www.vatican.va rispettivamente dell’11 gennaio 1998 e del 3 giugno 1999.
E. Sgreccia, Manuale di Bioetica, vol. I, Vita e Pensiero, 1998, pp. 403-408.
Pontificia Accademia Pro Vita, La coscienza cristiana a sostegno del diritto alla vita, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2008, in particolare pp. 92-111.
Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari, Carta degli operatori sanitari, 1995, nn. 143, 144, 145, 146.

 

 

 

 

 

 

IL TIMONE  N. 99 – ANNO XIII – Gennaio 2011 – pag. 28 – 29

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