Con Gesù il dolore e la sofferenza diventano strumento di conoscenza, di purificazione del cuore, dono di amore per gli altri.
«Noi predichiamo Cristo crocifisso,scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio» (1 Cor 1,23-24). Queste parole di Paolo sono naturalmente valide ancor oggi. Per alcuni cui non è dato di penetrarne il Mistero nascosto dietro quella morte infamante e brutale, la Croce di Gesù è ancora scandalo: può un Dio morire e per di più in quel modo? Oppure è stoltezza incomprensibile, una vera e propria follia: perché farlo?
Noi che ci professiamo cristiani, cioè seguaci di quel Galileo finito sul patibolo degli schiavi, noi che abbiamo creduto alla sua Risurrezione e Glorificazione, noi – dicevo – dovremmo invece essere tra coloro che hanno compreso che “ciò che è sapienza di Dio è più sapiente degli uomini e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini”. Dovremmo cioè aver capito che il grande paradosso rappresentato dalla Croce – la vita ottenuta attraverso la morte – è la legge suprema che regola l’esistenza di ogni uomo e che, sull’esempio di Gesù, nel cristianesimo è divenuta esplicita.
«Beati coloro che piangono perché saranno consolati; beati i miti…, beati gli affamati…, beati i poveri…» aveva predicato il Maestro davanti ad ascoltatori sbalorditi, che si erano visti ribaltare ogni logica umana. Aggiungendo, infine: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per amor mio la salverà». Gesù, dunque, apre con piena consapevolezza per l’uomo la via verso il Padre con il suo gesto di totale obbedienza e di amore. Accetta volontariamente di morire perché sa che quella è la strada che conduce alla Risurrezione. Noi, se vogliamo la vera vita, siamo chiamati a seguirlo e ad imitarlo.
Sono gli strascichi del peccato originale che ci impediscono di capire subito e con chiarezza il valore di questo paradosso, che ci appare tale solo perché il nostro sguardo è offuscato. Noi siamo fatti per la gioia e per la vita. Per questo le inseguiamo con tenacia e rifuggiamo con paura dalla sofferenza e dalla morte. Tuttavia, ci illudiamo di risolvere il problema del dolore attingendo ad altro che non sia un rapporto profondo e amorevole con Dio. Invece, c’è un Mistero che ci supera e che dobbiamo scoprire. Una identità spirituale che dobbiamo ritrovare attraverso una rinascita nello Spirito, che ci assicura una vita nuova. Ecco, la croce che, al seguito di Gesù, anche noi decidiamo di abbracciare ha proprio questo compito: renderci consapevoli del peccato che è in noi e attorno a noi e aiutarci a liberarcene, passo dopo passo. Operare quella purificazione del cuore, quel ridimensionamento del nostro io, quella morte all’egoismo che ci aprono progressivamente all’amore verso Dio e verso i fratelli, che ci donano uno sguardo nuovo, che ci consentono qualche saporoso anticipo della luce della Trasfigurazione e della gioia della Risurrezione.
Ecco perché – pur amando, come è giusto e doveroso, la vita, la salute, una buona realizzazione umana – dobbiamo sforzarci di accettare con serenità e fiducia in Dio quella parte di sofferenza che la vita prima o poi inevitabilmente ci riserva. Essa non è una condanna. È piuttosto uno strumento inevitabile che è insieme di conoscenza di noi stessi e degli altri, un lavacro interiore capace, se lo viviamo nel modo giusto, di inserirci sempre più profondamente nella vita divina.
Spesso, infatti, è proprio attraverso la sofferenza che noi prendiamo coscienza dei nostri errori rendendoci così conto che, pur non volendolo, in realtà abbiamo sbagliato, perché eravamo mossi da sentimenti in cui il buono si mescolava al cattivo. L’esito infelice di certe nostre scelte ci fa spesso capire che in noi dominano ancora l’egoismo, il bisogno di prevalere sugli altri, la vanità o qualche altro vizio che ancora opprime e tiene prigioniero il nostro cuore. In questa luce, dunque, il dolore, la sofferenza hanno già di per sé un valore redentivo perché, se li accettiamo con umiltà, fiduciosi nella luce dello Spirito che ci guida e nell’amore di Dio, ci aiutano concretamente a crescere e dunque, alla fine, a trasformare in meglio la nostra vita, ad essere operatori di amore e di pace invece che causa di discordia e di animosità. Così, di fronte a una prova, dovremmo fare un umile, serio ed approfondito esame di coscienza, per vedere se non ci sia in quello che è accaduto anche una parte di nostra responsabilità. Non illudiamoci che si tratti di un’operazione facile, perché ogni volta noi resistiamo molto, prima di ammettere le nostre colpe. Ma con il tempo, la grazia di Dio può renderci più umili, più lucidi, più liberi e dunque più felici.
E se non ci sembrerà di trovare un collegamento diretto tra quello che di negativo ci sta capitando e qualche nostra responsabilità o colpa? Se saremo chiamati a vivere in noi o vicino a noi quello che ci appare come un dolore “innocente”, come una sofferenza senza umana spiegazione? Non disperiamoci e non dimentichiamo che proprio tale fu il dolore di Gesù, che non morì certo per i suoi peccati, essendo il Santo per eccellenza. Salì sulla croce per amore del Padre suo e nostro, ristabilì la giustizia, riconobbe quello che Adamo ed Eva avevano negato, cioè il legame che lega creatura e Creatore, accettò con pienezza, fino alle estreme conseguenze, quel progetto d’amore che aveva come oggetto l’uomo e il suo Dio. Così, il paradosso della croce serve anche a farci capire come pure il dolore innocente, senza causa apparente, affondi le sue radici nel peccato umano e come accettare di attraversarlo al seguito di Gesù porti misteriosamente alla vita non solo chi lo sperimenta ma anche i molti altri per i quali, come ha fatto il Maestro, può essere offerto. Stretti alla sua croce, uniti a Lui, possiamo così avvolgere in un abbraccio amorevole tutti i fratelli.
Solo in Cielo conosceremo davvero questi legami misteriosi che ci uniscono a tutti gli altri nel grande Corpo Mistico.
Solo “dopo” capiremo gli effetti che questo grande atto di carità, che è l’offerta della nostra sofferenza, può aver prodotto su molti a noi sconosciuti ma ben noti all’unico Padre. Nell’eternità avremo la prova concreta che la fede aveva ragione, che davvero la sapienza e la forza di Dio superano ogni umana comprensione.
RICORDA
“Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò”.
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11,28-30).
BIBLIOGRAFIA
I Fioretti di San Francesco, in Fonti Francescane, Assisi 1978, cap. VIII: Quelle cose che sono perfetta letizia.
Padre Livio Fanzaga, Il crocifisso scomodo, Piemme 2003.
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