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12.12.2024

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Alla ricerca del “quinto vangelo”
31 Gennaio 2014

Alla ricerca del “quinto vangelo”

 

 

 

Compie 30 anni l’opera più celebre di Mario Pomilio. Un romanzo che risente della crisi del “dopo Concilio”, ma che almeno racconta la vita del cristiano come un vangelo da scrivere ogni giorno, con l’aiuto di Dio.
Il romanzo di Mario Pomilio (1921-1990) Il quinto evangelio (Bompiani, 2002; pp. 416. € 8,26) è un componimento misto di verità e finzione: la vicenda ha inizio al termine della Seconda Guerra Mondiale quando Peter Bergin, un ufficiale americano alloggiato presso una canonica nella città di Colonia, viene casualmente a conoscenza di una biblioteca appartenuta a generazioni di preti, l’ultimo dei quali pare essersene andato da poco. Letteralmente conquistato dal nutrimento spirituale che quelle carte forniscono, il protagonista intraprende una ricerca che cambierà la sua vita. E la lunga lettera che il protagonista infine spedirà al Segretario della Pontificia Commissione Biblica di Roma non è che l’introduzione a una serie di documenti che abbracciano molti secoli, e citano enigmaticamente l’oggetto del romanzo: un “Quinto Vangelo” apparso e scomparso lungo la storia della Chiesa.
La narrazione altro non è che la cronaca di tale ricerca, legata alla domanda «cos’altro ha detto Gesù Cristo che noi non conosciamo?
». Dai trentatré frammenti ritrovati, Bergin giunge a supporre che nel passato qualcuno abbia davvero trovato il quinto evangelo.
Tale inquietante finzione letteraria è ciò su cui cresce l’opera di Pomilio, sulle tracce del misterioso testo che riemerge in molti luoghi: a Verona in una piccola chiesa dove una lastra tombale ricorda che l’arcidiacono Pacifico aveva recensito «il famoso Quinto Evangelo» (una domanda: quanto Il nome della rosa di Umberto Eco è debitore di questo avvio di romanzo, e quanto alla leggenda del Santo Graal?). Dalla cerca del misterioso libro, il protagonista non si libera più. Altre tracce lo inducono a dedicarsi a essa con tutte le forze e, una volta rimpatriato in America, riparte per tornare in Europa: il quinto evangelo, gli scrive l’amico conosciuto a Verona, riportando la frase di uno scrittore del Settecento, «si manifesta ogni volta che gli uomini ne hanno bisogno, ma che costoro potranno leggere solo allorché ne saranno degni». Così, l’avventura “filologica” (“amore per il Logos”) produce in Bergin una mutazione, diventa esperienza religiosa segnata dal bisogno di Dio e dalla fede, mentre i documenti ricostruiscono i tasselli del mosaico: il quinto evangelio non sarebbe altro che il primo vangelo scritto da san Giovanni (Protoevangelo di Giovanni), andato smarrito, contenente fatti non narrati dai sinottici e omessi poi nella stesura del suo vangelo canonico. Oppure sarebbe il primo Vangelo di Matteo «composto in lingua ebraica». Il manoscritto introvabile sarebbe poi appartenuto al venerabile Cassiodoro (presso il monastero di Vivario), che lo aveva a sua volta ricevuto in dono da un monaco greco, e un altro monaco greco di nome Atanasio comparirà nei primi anni del Mille con la medesima pretesa; ma si vocifera anche di un «Vangelo eterno» portato a Roma da san Pietro, ora presso il Papa «custodito in uno scrigno il quale s’apre con quattro chiavi». E un misterioso vangelo provenzale compare nel Cinquecento nelle mani di un predicatore valdese, Giosuè Borgogno; nel Settecento, è nelle mani del sacerdote Domenico De Lellis, e così via.
Esso conterrebbe la somma degli insegnamenti di Gesù «durante i quaranta giorni successivi alla sua resurrezione».

L’attesa di una vita cristiana presente
Tuttavia, per Pomilio il quinto evangelo non solo è introvabile ma anche irraggiungibile, sebbene lasci tracce evidenti di sé perché è «il vangelo che si sta scrivendo», che «non cesserà d’essere scritto fino all’ultima salvazione» e le sue parole «svegliano il mondo anche se il mondo non le intende».
Il romanzo ricostruisce una ragnatela di documenti (lettere, cronache, verbali, codici, leggende spuntate in luoghi diversi e lontani e somiglianti nel contenuto) e percorre i secoli, le epoche e la geografia dell’avvenimento cristiano; e sollecita a una nuova lettura dei Vangeli, visti come «una fonte di virtù antagoniste».
Il cavaliere Du Breuil (personaggio di uno dei documenti allegati da Bergin alla lettera diretta al segretario pontificio) testimonia di un percorso che, ricalcando le orme di san Francesco o del manzoniano fra Cristoforo, conduce non a un documento da rintracciare bensì a una vita da spendere a imitazione del Figlio di Dio, in tempi in cui il rischio può essere quello di renderci «assai più sensibili all’infinita lontananza di Dio che all’infinita vicinanza del nostro Salvatore». Ecco uno dei doni di questo romanzo “cattolico”: la percezione di Dio presente e vicino, attraverso la Parola. Certo, la narrazione è dotta, costruita a tessere proprio come un mosaico, ma il filo conduttore resta la coscienza di fronte al mistero della natura umana («in tal modo farci godere il vero, non il finto volto dell’uomo») alla luce della domanda del Signore: «Ma voi chi dite che io sia?».
Il libro purtroppo risente del clima degli anni del “dopo Concilio”: uscito in un 1975 fatale e drammatico, oggi è dimenticato. Quei dilemmi della coscienza sono stati risolti dalla linfa fresca della fede giovane, in seguito al pontificato di Giovanni Paolo II, per cui oggi potremmo rileggerlo in opposizione alle narrazioni ciarlatanesche (dei Dan Brown, per esempio) che stemperano e confondono in salsa new age le istanze spirituali di un’intera generazione.
Come si riconosce, allora, la buona letteratura? Dal suo contribuire a ricordare agli uomini che l’incontro con Cristo non è un mito del passato da riattualizzare bensì un fatto sacramentale che avviene sempre, nel presente. Lo spiega in modo obliquo l’apologo citato da Pomilio e proveniente dal Fabulario di Gerardo da Siena (XV sec.): «Rideva un pagano dei cristiani perché osservavano un sol libro. Ma un santo vescovo, che l’avea udito, gli contò questa novelletta: una volta un dottore incontrò il Cristo Gesù: Signore, io so bene che tu fosti il Messia e quel che pronunziasti è pieno di sapienza. Ma come può essere che un sol libro basti in eterno a tante gente? Gli rispose Gesù: gli è vero quel che dici. Ma tu non sai che il popol mio lo riscrive ogni dì».

 

BIBLIOGRAFIA

«Gli autori marxisti e laicisti, e i molti finti tali, sono da parecchi anni in qua regolarmente portati alle stelle, le loro opere hanno tirature da capogiro, salvo poi essere dimenticate nel volgere di qualche anno, a motivo del loro scarso o nullo valore reale. Gli altri autori, i non disposti a voltare gabbana, soprattutto i migliori e i più validi, si trovano invece esclusi dal palcoscenico letterario. Così da quando la produzione letteraria non è più libera, essa è scaduta abissalmente. Allo stesso modo che nella Russia comunista, anche in Italia non viene più alla ribalta una sola opera veramente grande».
(Eugenio Corti, Il fumo nel tempio, Edizioni Ares, 1997, p. 135).
IL TIMONE – N. 48 – ANNO VII – Dicembre 2005 – pag. 54 – 55
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