Un libro-intervista all’allora cardinale Wojtyla sulle caratteristiche fondamentali della dottrina sociale della Chiesa. Riflessioni sfociate nel successivo Magistero sociale
Il pontificato di papa Giovanni Paolo II (1978-2005) ha almeno una doppia relazione con la dottrina sociale della Chiesa (DSC).
La prima è quella più consueta e, in qualche modo, ovvia, documentata dalla pubblicazione di tre encicliche tematicamente dedicate ad argomenti sociali o – piuttosto – qualificabili e qualificate senza incertezze come tali: Laborem exercens sul lavoro umano, del 1981, nel 90° anniversario dell’enciclica Rerum novarum sulla condizione degli operai, pubblicata da Papa Leone XIII (1878-1903) nel 1891; Sollicitudo rei socialis, del 1987, nel ventesimo anniversario dell’enciclica Populorum progressio sullo sviluppo dei popoli, pubblicata da Papa Paolo VI (1963-1978) nel 1967; e Centesimus annus, del 1991, nel centenario sempre della Rerum novarum.
La seconda relazione è testimoniata dalla promozione della dottrina sociale stessa, a partire dal 1979, cioè dall’intervento alla III Conferenza Generale della Conferenza Episcopale Latinoamericana a Puebla de los Angeles, in Messico.
Ma ve n’è pure una terza, che – anche se riguarda il periodo in cui il Papa era ancora cardinale – è di grandissima utilità per comprendere e per interpretare il modo in cui, durante il suo pontificato, egli ha affrontato la problematica sociale.
Quando, nel tardo 1978, il card. Karol Wojtyla, arcivescovo di Cracovia – nella Polonia ancora sottoposta al regime socialcomunista –, viene eletto al soglio di Pietro, la DSC è, dal punto di vista della ricezione e dell’attenzione, in una fase di straordinaria sofferenza, una fase che si può dire iniziata paradossalmente con un momento alto dal punto di vista della sua definizione storica. Mi riferisco al 1961, data di pubblicazione, da parte del Papa beato Giovanni XXIII, dell’enciclica Mater et Magistra sugli sviluppi della questione sociale nella luce della dottrina cristiana, nella quale viene affermato perentoriamente essere tale dottrina «[…] parte integrante della concezione cristiana della vita». Mentre quanto in precedenza era qualificato come «una dottrina sociale» diventa «la dottrina sociale» e ne viene sostenuto il carattere strutturale, nello stesso tempo essa sta patendo una ricezione mutilante e a più titoli riduttiva.
Tale mutilazione giunge, nel ventennio seguente, alla proposta di eliminazione di essa, della quale proposta è espressione emblematica un’affermazione del domenicano francese Marie-Dominique Chenu (1895-1990), secondo il quale la DSC semplicemente non esiste.
L’affermazione del teologo è del 1979, ma è occasionata dall’edizione francese di un’opera dello stesso teologo uscita in italiano nel 1977 con il titolo La dottrina sociale della chiesa. Origine e sviluppo (1891-1971), intesa a denunciare il carattere ideologico appunto della DSC. Ebbene, nel 1978, il professor Vittorio Possenti, proponeva al card. Wojtyla una serie di quesiti Sulla possibilità di una dottrina sociale della Chiesa, le risposte ai quali saranno rese pubbliche solamente nel 1991 e ripubblicate nel 2003.
Quasi d’esordio, l’intervistato esprime «[…] la convinzione che la Chiesa non può non possedere una propria peculiare dottrina sociale.
Questa è la conseguenza della missione stessa della Chiesa; rientra nel contenuto sostanziale e nei compiti del Vangelo che deve essere predicato e realizzato continuamente (e in un certo senso sempre di nuovo) nelle ridotte dimensioni della vita sociale, al centro stesso dei problemi che ne scaturiscono».
Dunque, «la dottrina sociale della Chiesa è costruita sul Vangelo. Il Vangelo deve guidare gli uomini alla salvezza che si realizza pienamente nella dimensione escatologica. Questa dimensione escatologica della salvezza, tuttavia, lungi dal ridurla, evidenzia ancor di più l’importanza della temporalità. Pertanto, tutto quanto decide di un corretto progresso e sviluppo dell’uomo si colloca nell’ordine divino della salvezza, che la Chiesa considera la missione sua propria. Su questo tema molto è stato detto dalla Costituzione pastorale del Vaticano II, molto troviamo nei documenti della Santa Sede. Un contributo particolare mi sembra che venga dal Sinodo dei Vescovi dedicato all’evangelizzazione e sulla sua scia dall’esortazione Evangelii nuntiandi [circa l’evangelizzazione nel mondo contemporaneo, del 1975] di Paolo VI. La Costituzione pastorale mette in evidenza che, quantunque i due ordini, quello temporale (o storico) e quello escatologico, si differenzino sostanzialmente l’uno dall’altro, tutto quello che nell’ordine temporale, nell’ordine della storia umana, serve al bene, alla verità, alla giustizia, alla carità nella società, è importante anche per la salvezza dell’uomo nella dimensione escatologica».
A fronte poi della proposta dello stesso padre Chenu di leggere in modo dialettico «dottrina sociale» e «insegnamento sociale», il card. Wojtyla afferma: «La Chiesa proclama il Vangelo, cioè “insegna”, e questa azione comprende ovviamente l“insegnamento sociale”.
“Dottrina” è ciò che la Chiesa insegna: la dottrina sociale è il contenuto dell’insegnamento sociale. Tuttavia, procedendo nell’insegnamento, diventa necessario mettere gradualmente ordine nel contenuto dell’insegnamento. Così questo contenuto diventa dottrina, diventa scienza, comincia ad essere praticato con scienza, ad essere ordinato scientificamente. Diventa un sistema. Le verità fondamentali vengono messe in primo piano a fare da base a quelle che ne derivano. Tuttavia una scienza così definitasi non funziona al di fuori dell’insegnamento.
«Qui entra in gioco quell’elemento fondamentale per tutta quanta la dottrina della Chiesa (per l’intera teologia), che è il rapporto con il Magistero. Al Magistero compete giudicare se quello che la scienza elabora è vero e giusto. Sotto quest’aspetto la scienza incide su tutto l’insegnamento a diversi gradi e livelli, insegnamento che è l’elemento indispensabile della formazione cristiana: la formazione dei religiosi e dei laici».
Quindi, a proposito della consueta affermazione secondo cui la DSC ha carattere di novità introdotta nel 1891 da Papa Leone XIII, il porporato polacco sostiene che «[…] la dottrina sociale della Chiesa non nacque solo nel XIX secolo, ma ha un lungo passato e una tradizione. […] Esiste certamente tutto un corpus della dottrina sociale cattolica che ha trovato la sua forma nel pensiero scolastico e prima ancora nella patristica; e ultimamente tutto si rifà al Vangelo e all’insegnamento degli Apostoli. Quindi bisogna dire che l’attuale dottrina sociale della Chiesa non “è nata” nel XIX secolo, ma che, conservando l’identità di principio della tradizione cristiana dell’ethos sociale, ha acquistato una nuova forma alle soglie del nostro tempo e continua a formarsi conformemente alla sua evoluzione e alla sua crescita».
La terza relazione appare dunque come la radice «naturale», la materia delle altre due, cioè sia della promozione della dottrina sociale che della integrazione del suo corpus attraverso i tanti documenti del pontificato, dalle tre encicliche ricordate al Catechismo della Chiesa Cattolica, del 1992, fino alla Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, del 24 novembre 2002.
Bibliografia
Karol Wojtyla, La dottrina sociale della Chiesa, intervista di Vittorio Possenti, commento di monsignor Sergio Lanza, prefazione di mons. Rino Fisichella, Lateran University Press, Roma 2003.
Dossier: Giovanni Paolo II: punti fermi
IL TIMONE – N. 43 – ANNO VII – Maggio 2005 – pag. 48-49