Si è aperto l’Anno Internazionale della Gioventù con un evento che ha subito messo in evidenza l’obiettivo delle agenzie internazionali: espropriare le famiglie del loro compito educativo. E sostituirlo con un indottrinamento di Stato, e con l’ossessione dei diritti sessuali e riproduttivi
C’è qualcosa di paternalistico, anzi di insopportabile, nella retorica dell’ONU riguardo all’Anno Internazionale della Gioventù ufficialmente inaugurato lo scorso 11 agosto. Lo scopo di questo ennesimo momento celebrativo è quello di mettere i giovani al centro delle varie politiche di sviluppo, di pace e solidarietà, tra culture e anche tra le generazioni. Inoltre l’ONU, impegnata nel raggiungimento degli Obiettivi del Millennio, punta su “energia, passione e creatività” dei giovani in questa lotta per sradicare la povertà e le disuguaglianze.
Ma dietro le belle parole – tanto roboanti quanto vuote – la realtà è molto più spicciola: c’è una elite (di adulti) nelle agenzie dell’ONU che, attraverso il controllo di un gruppo ristretto di organizzazioni giovanili, cerca di far passare i propri progetti spacciandoli per richieste che vengono dalla base dei giovani. Uno schema già ben collaudato, visto che è quello classico dei regimi comunisti, dove infatti ci sono le organizzazioni giovanili, quelle femminili e così via, che si preoccupano di coagulare il consenso alle direttive del Partito. Così si organizzano raduni e incontri, cui partecipano migliaia di sigle, dove però il controllo è saldamente nelle mani di pochi.
La conferma è arrivata puntuale alla fine di agosto quando si è tenuta a Leon, in Messico, la Conferenza Mondiale della Gioventù (WYC, secondo l’acronimo inglese), l’evento più importante dell’Anno che dovrebbe dare il tono a tutte le celebrazioni e il cui documento conclusivo è stato presentato all’Assemblea Generale dell’ONU alla fine di settembre. Ebbene, la Conferenza è finita nel caos per il tentativo da parte degli organizzatori di far approvare il documento finale, stilato da un gruppo ristretto di delegati, quando un nutrito gruppo di delegazioni non era nemmeno riuscito a leggerlo, figurarsi ad apportare il proprio contributo. Molti degli estensori di quella che è stata chiamata la “Dichiarazione di Guanajuato” sono giovani scelti e pagati dal Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA), la cui ragione sociale sembra essere soltanto quella di promuovere aborto e contraccezione nel mondo. Alcuni delegati africani e sudamericani hanno denunciato che l’UNFPA aveva finanziato la presenza a Leon di molti delegati giovanili e anche di rappresentanti dei governi, in modo da avere il più ampio sostegno alla propria agenda. Si tratta peraltro di una vecchia e consolidata tradizione che l’UNFPA e le associazioni partner (come la multinazionale dell’aborto IPPF, International Planned Parenthood Federation) osservano da decenni e che è stata decisiva nel grande ciclo di Conferenze Internazionali dell’ONU che si sono svolte all’inizio degli anni ’90 e che hanno dato legittimità giuridica internazionale, tra l’altro, alle misure di controllo delle nascite. Molti Paesi poveri, infatti, non hanno i mezzi finanziari per inviare i propri delegati ai tanti appuntamenti internazionali legati all’ONU. Così queste agenzie, UNFPA in testa, si offrono di pagare la loro partecipazione, ovviamente scegliendo anche i delegati.
È anche in questo modo che si spiega come mai alle conferenze internazionali le delegazioni di certi Paesi sostengano posizioni in evidente contrasto con la politica dei propri governi e la legislazione dei propri Stati.
In ogni caso, ad essere preoccupante, è il testo uscito da Leon che, seppure migliorato rispetto alla bozza originale, contiene le “raccomandazioni” fondamentali volute dagli organizzatori. Ad esempio, la richiesta della ridefinizione dei generi per includere tutto l’ampio “spettro di identità di genere”, compresi “intersex” e “travestiti”, ma anche “una educazione sessuale comprensiva” (ovvero che comprenda l’istruzione su ogni tipo di rapporto e tecnica possibile) e l’“aborto sicuro”.
L’Anno Internazionale dei Giovani nasce perciò all’insegna dell’ideologia, in cui rientra anche una concezione dell’educazione che in realtà sarebbe più corretto chiamare indottrinamento. Per quanto riguarda i “diritti sessuali e riproduttivi”, invocati anche in questo caso, è in atto il tentativo di rendere universale ciò che sta accadendo in alcuni Paesi occidentali, ovvero la possibilità per gli adolescenti di usare contraccettivi e abortire senza il consenso dei genitori. È qui il punto centrale della questione: l’educazione.
Anche l’ONU, nel convocare questo Anno celebrativo, insiste sull’educazione. Non sorprendentemente visto che oltre 150 milioni di giovani nel mondo sono analfabeti, e di questi due terzi sono ragazze. Ma nei documenti dell’Anno e in quelli che preparano le conferenze internazionali previste sul tema, emerge con chiarezza la posizione che caratterizza le politiche dell’ONU in materia da oltre un ventennio. Vale a dire il tentativo di “strappare” i giovani alle famiglie. La famiglia e il ruolo dei genitori non sono mai citati nei programmi che riguardano l’educazione, e non a caso. Sulla spinta dei Paesi nord-europei, da molto tempo le agenzie dell’ONU promuovono un sistema educativo statalista, in cui l’interlocutore diretto dei giovani è lo Stato – o un’entità sovrastatale quale è l’ONU – mediato al massimo dalle organizzazioni giovanili (l’educazione tra pari). Basta dare un’occhiata ai documenti internazionali per rendersi conto che quando la famiglia c’entra è generalmente in chiave negativa, ovvero come luogo di costrizioni da cui difendere il singolo individuo. La realtà dimostra che la piena maturazione dell’individuo è possibile soltanto all’interno di una famiglia che, non a caso, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo considera la cellula base della società. Eppure, da oltre un ventennio, le agenzie dell’ONU – sotto la guida delle elite socialdemocratiche nord-europee e dei liberal statunitensi – spingono in tutt’altra direzione.
Puntare sui giovani significa anzitutto un’educazione che trasmetta e renda verificabili le ragioni per cui vale la pena vivere; significa esaltare la libertà dei giovani, scommettendo sulla loro capacità di aderire a ciò che è vero, da cui consegue anche la capacità di assumersi delle responsabilità. L’esatto contrario di ciò che viene propinato dall’ONU, che dimostra la sua mancanza di credibilità anche all’origine della questione giovanile. Complessivamente nel mondo i giovani sono all’incirca un miliardo (l’ONU definisce giovani coloro che vanno dai 15 ai 24 anni), il 18% della popolazione mondiale. Ebbene, oltre l’85% di loro vive nei Paesi in via di sviluppo, il 62% solo in Asia. Vale a dire che la stragrande maggioranza di loro vive in quei Paesi dove le stesse agenzie dell’Onu – e alcuni governi occidentali – promuovono aggressive politiche di controllo delle nascite all’interno dei programmi di sviluppo. In pratica l’ONU afferma di puntare su quei giovani che, con grande dispendio di risorse, ha cercato di non far nascere e che si preoccupa di non far procreare. Può essere questa un’istituzione credibile e autorevole?
RICORDA
«Al di là delle intenzioni, che possono essere varie e magari assumere forme suadenti persino in nome della solidarietà, siamo in realtà di fronte a una oggettiva “congiura contro la vita” che vede implicate anche Istituzioni internazionali, impegnate a incoraggiare e programmare vere e proprie campagne per diffondere la contraccezione, la sterilizzazione e l’aborto».
(Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Evangelium vitae, 1995, n. 17).
IL TIMONE N. 96 – ANNO XII – Settembre/Ottobre 2010 – pag. 18 – 19