Clamorosa sconfitta in 13 Stati per il referendum, voluto da lobby potenti quanto elitarie, che voleva introdurre il matrimonio omosessuale. Che sia questa una chiave per capire la riconferma di Bush, che ha fatto della difesa dei valori la sua bandiera?
«E’ la vittoria della gente comune, radicata nei valori tradizionali, sulle élites che disdegnano le questioni etiche». Questo commento del politologo cattolico americano Michael Novak offre un punto di vista originale con cui guardare all’esito delle recenti elezioni presidenziali americane.
Quando si sono diffusi i dati sull’affluenza alle urne, straordinariamente elevata, tutti i commentatori tv – esperti e meno – ne hanno tratto l’indicazione di una vittoria di John F. Kerry. Molti votanti, si diceva, significano di solito preferenze a sinistra e, in ogni caso, è quasi certo che vadano contro chi ha governato finora. Un voto di protesta contro il potere attuale, perciò vince Kerry. E invece no.
Secondo gli americani il potere attuale non è Bush, ma certe élites che – non elette da nessuno – stanno tentando di imporre ali’ America la propria visione “liberai”: aborto libero, matrimonio gay, ricerca sugli embrioni, e così via. Infatti, il modo migliore di interpretare il voto presidenziale è il risultato del contemporaneo referendum sulle unioni gay svoltosi in ben 11 Stati (13 se consideriamo che in due Stati si erano già tenuti in precedenza). Ebbene, la risposta degli americani non poteva essere più chiara: i “no” al matrimonio tra omosessuali hanno vinto ovunque sfiorando mediamente il 75%, anche se la situazione politica e sociale degli Stati che hanno votato i referendum – Ohio, Michigan, North Dakota, Arkansas, Georgia, Kentucky, Mississipi, Montana, Oklahoma, Oregon e Utah – non è affatto omogenea. È la conferma, dice ancora Novak, che in America «la gente comune è religiosa, ama la vita e la famiglia; il cittadino americano crede che una relazione permanente sia necessaria per proteggere il bambino e la donna». In altre parole, gli americani si sono resi conto che «in questa elezione c’erano in gioco le stesse fondamenta della nostra civiltà».
Già, ma chi vuole abbattere queste fondamenta? Le élites, sostiene Novak, «professionisti, opinionisti, più in generale i ricchi, quel 10% della popolazione che ha un grande potere e che non ama essere limitata dalle questioni morali», quali quelle poste con decisione da Bush, che ha bloccato la ricerca sugli embrioni ed è arrivato a proporre un emendamento costituzionale a difesa della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna. Spiega ancora Novak: «Queste élites non credono in una legge morale universale. Pensano soltanto alla loro ricchezza, a come mantenerla e come accrescerla, si concepiscono come il centro dell’universo. Per questo sono fortemente relativisti e odiano chi mette davanti la legge morale. Non vogliono che ci sia Dio, e soprattutto che Dio influisca sulle scelte».
In effetti, in questa elezione si è assistito a una mobilitazione senza precedenti, miliardari e fondazioni hanno investito decine e decine di milioni di dollari per eliminare Bush. Clamoroso il caso del finanziere George Soros, uno degli uomini più ricchi del pianeta, ritenuto capace con le sue speri colate operazioni finanziarie di creare terremoti in tutti i mercati mondiali (nel 1997 fu accusato di aver provocato la grave crisi del Sud Est Asiatico): «L’America sotto Bush è un pericolo per il mondo», andava ripetendo da tempo. E così si è gettato nella campagna elettorale per sconfiggere il presidente: conferenze e incontri pubblici, interviste, acquisto di pagine di giornali, ma soprattutto finanziamento delle organizzazioni fiancheggiatrici della campagna di Kerry, il cosiddetto “gruppo dei 527”. Tra queste Soros ha scelto in particolare MoveOn.org, un movimento di opinione lanciato su Internet da due importanti industriali, e Americans Coming Together (ACT), un inedito cartello di organizzazioni femministe e ambientaliste (promotori sono i leader di uno dei più potenti gruppi abortisti, Emi/y’s List, e del più noto gruppo ecologista, Sierra Club). Le sue donazioni per la campagna elettorale hanno toccato – secondo le sue stesse dichiarazioni – 20 milioni di dollari, la maggiore cifra in assoluto che un privato abbia mai sborsato per sostenere un candidato, tanto da creare qualche imbarazzo anche in casa democratica.
A conferma di quanto sostenuto da Novak, i promotori di ACT hanno chiaramente detto che la loro mobilitazione nasceva dall’eccezionalità del «momento storico» che vedeva «a rischio tutte le conquiste per cui tanta gente aveva speso tutta la propria vita politica». Fuori di metafora: Bush nel suo primo mandato aveva chiuso i rubinetti dei fondi statali per le organizzazioni abortiste e ambientaliste, e queste cercavano di riprenderseli.
Una questione in prospettiva ancora più importante è che in questo mandato il presidente dovrà nominare ben quattro giudici della Corte Suprema: Kerry aveva chiaramente assicurato in campagna elettorale che, se eletto, avrebbe nominato solo giudici abortisti e “liberai”. La straordinaria importanza consiste nel fatto che la Corte Suprema può rovesciare la legislazione su alcune questioni etiche: ad esempio l’aborto negli Stati Uniti è stato introdotto con una sentenza della Corte Suprema del 22 gennaio 1973 che, rovesciando una decisione dello Stato texano, reinterpretò il 14mo emendamento della Costituzione in fatto di privacy. Sulla questione il popolo americano non si è mai potuto esprimere. Per questo Bush nei mesi scorsi ha tentato di introdurre un nuovo emendamento costituzionale che definisse il matrimonio possibile solo tra uomo e donna: per evitare cioè che sia ancora un gruppo di giudici a introdurre le unioni gay saltando a piè pari la volontà popolare. La nomina di giudici non “liberal” potrebbe stoppare questo progetto. Gli americani perciò sono andati a votare in massa anche per impedire che delle lobby potenti quanto elitarie distruggessero le fondamenta della società e lo hanno detto con estrema chiarezza.
IL TIMONE N. 38 – ANNO VI – Dicembre 2004 – pag. 12 – 13