Finisce l'era Clinton. Una lettura controcorrente del suo mandato: non è riuscito a dare pace al mondo perché si è battuto contro la vita. Madre Teresa aveva ragione.
Mi ha sempre colpito molto un'affermazione che in diverse occasioni ha fatto Madre Teresa di Calcutta, e cioè che "la più grossa minaccia alla pace oggi è l'aborto”. Non è un'affermazione da fondamentalisti pro-life, ma una convinzione che dalla esperienza trae le sue ragioni. Spiega Madre Teresa: “L'aborto è una guerra contro il bambino, l'uccisione diretta di un bambino innocente, un omicidio da parte della sua stessa madre”. E allargando l'orizzonte: “Ogni Paese che accetta l'aborto insegna alla sua gente a usare ogni tipo di violenza per ottenere ciò che vuole. Ecco perché il più grande distruttore dell'amore e della pace è l'aborto”. Ebbene, queste parole di Madre Teresa sono la prima cosa che mi viene in mente dovendo cercare di dare un giudizio sintetico sull'«era Clinton». In otto anni di presidenza sono accadute molte cose, e molti fattori andrebbero considerati per un'analisi compiuta, ma qui è importante anzitutto trovare una chiave di lettura adeguata. E personalmente trovo troppo riduttivo sottolineare i successi economici per gli Stati Uniti da una parte o il susseguirsi di scandali sessuali dall'altra. In ogni caso sono questi degli aspetti parziali, per quanto grande sia l'importanza che noi vi diamo. Credo invece che le parole di Madre Teresa ci offrano una chiave adeguata, perché il destino e l'aspirazione di ogni persona e di ogni popolo è la pace, dove pace riassume tutti i fattori che contribuiscono alla piena realizzazione dell'uomo, da quello spirituale a quello economico, da quello sociale a quello politico.
E allora è doveroso ricordare che all'origine dell'amministrazione Clinton c'è un'offensiva abortista senza precedenti: uno dei primissimi atti del presidente è stato quello di revocare la “politica di Città del Messico” (così chiamata perché in relazione alla Conferenza mondiale sulla popolazione di Città del Messico nel 1984, che vietava il finanziamento delle organizzazioni che promuovono l'aborto come metodo di pianificazione familiare). Sempre nei primi giorni Clinton ha cancellato le restrizioni volute dal suo predecessore George Bush alla possibilità di far abortire giovani donne in cliniche per la pianificazione familiare finanziate dal governo federale. E per completare il quadro Clinton ha anche provveduto a revocare il bando all'uso di fondi federali per i trapianti di organi estratti da feti abortiti e ha introdotto l'aborto tra i servizi offerti dagli ospedali militari. A dimostrazione della giustezza dell'intuizione di Madre Teresa sta il fallimento dei sogni del Nuovo Ordine Mondiale e di una nuova era di stabilità e di prosperità che sarebbe dovuta succedere alla fine della Guerra Fredda e garantita dagli Stati Uniti, ormai l'unica superpotenza rimasta. In realtà l'amministrazione Clinton si è distinta in questi anni per l'incapacità di un disegno globale capace di avviare il mondo verso nuovi equilibri (basti pensare che la “dottrina di politica estera” è cambiata almeno tre volte in 8 anni) e per il velleitarismo che ha caratterizzato gli interventi americani. Al proposito non si può non ricordare lo “sbarco in Somalia” del 1992, in quella che doveva essere l'esperienza guida per tutte le successive missioni di pace dell'Orni. L'arrivo dei marines americani, accolti sulle coste somale da un ben più agguerrito esercito di giornalisti e telecamere che l'hanno rilanciato in ogni angolo del mondo, doveva celebrare la forza della superpotenza in grado di ristabilire l'ordine ovunque venisse turbato. Fu un disastro, quella missione non fu in grado di aver ragione di qualche banda di straccioni e non solo lasciò la Somalia in condizioni anche peggiori di quelle iniziali (tuttora è un Paese allo sbando, perdipiù caduto sotto l'influenza del fondamentalismo islamico), ma pregiudica anche il futuro delle missioni di pace dell'Onu, tanto che il “fresco” ricordo della Somalia fu il principale motivo del colpevole ritardo con cui la comunità internazionale è intervenuta nel 1995 per porre fine al genocidio in Ruanda e nella regione dei Grandi Laghi.
Ma tutte le crisi internazionali in cui l'amministrazione Clinton è intervenuta direttamente non hanno trovato una soluzione: in Bosnia e in Kosovo si sono sì raggiunti degli accordi di pace, ma ormai la maggioranza degli analisti è concorde nel ritenere che Raccordo di Dayton» ha lasciato immutati i motivi del conflitto e che, dopo un anno dalla fine della guerra in Kosovo, la situazione rimane gravissima. Gli sviluppi in Medio Oriente, prima preoccupazione dell'amministrazione Clinton, sono sotto gli occhi di tutti: è un vulcano che può esplodere in qualsiasi momento. Sul fronte del disarmo, la Casa Bianca ha subito un tremendo smacco con i test nucleari effettuati da India e Pakistan, che si sono autodichiarate potenze nucleari tirandosi fuori da quella cornice di trattati che Clinton tanto aveva voluto. Nell'Asia-Pacifico – che per gli americani è “mare nostrum” – la contraddittoria e ambigua politica americana ha favorito la corsa al riarmo che il tanto discusso progetto di “scudo missilistico” sta ora facendo addirittura impennare. Né deve trarre in inganno il successo in Irlanda del Nord. Sebbene l'inviati americano, il senatore Georgi Mitchell, si sia dimostrato un eccellente mediatore, il contributo americano al processo di pace è soli uno dei tanti, e non certo il più importante. Il risultato è che dopo otto anni di Clinton il mondo è il generale molto più insicuro, e s sono assicurate le basi per ulteriori drammatici conflitti (in questi momento tutta l'Asia è un vulcano).
E anche sul fronte interno la situazione non è così rosea. La prodigio sa, costante crescita economica d questi anni è innegabile e sicura mente molti americani voteranno per Gore proprio per questo moti vo. Ma la crescita economica noi significa automaticamente sviluppò umano: tanto per fare un esempio la criminalità minorile è il drammatico aumento, il divario tr; i vari gruppi sociali e soprattutto etnici si fa sempre più profondo, e questi sono segnali allarmanti per i futuro degli States.
Precisiamo: se nel '92 avesse vinto Bush e nel '96 Dole, non necessaria mente il giudizio sarebbe più positivo. E se a novembre vincesse Bush junior invece di Gore, noi avremmo certo la sicurezza che li cose cambierebbero radicalmente. Ma resta il fatto – e questo è il punto – che la pace e l'ordine mondiale possono nascere soltanto da rispetto della sacralità della vita.
"La gravità morale dell'aborto procurato appare in tutta la sua verità se si riconosce che si tratta di un omicidio e, in particolare, se si considerano le circostanze specifiche che lo qualificano. Chi viene soppresso è un essere umano che si affaccia alla vita, ossia quanto di più innocente in assoluto si possa immaginare".
(Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, n.58).
IL TIMONE – N. 9 – ANNO II – Settembre/Ottobre 2000 – pag. 4-5