Le vetrine dei librai sono piene di testi sull’argomento, pensosi saggi o instant-book, tanto che interi scaffali nelle librerie sono dedicati all’islam e il Corano sta nella classifica dei bestseller. Chi avrebbe potuto immaginare che il nuovo millennio si sarebbe aperto con la ricomparsa di un antichissimo nemico? Certo, bisogna distinguere, perché non tutto il mondo islamico è nemico dell’Occidente; anzi, i nemici sono solo una sparuta minoranza, poche migliaia, su circa un miliardo di musulmani.
Tuttavia, il terrorismo che impensierisce l’Occidente si autoqualifica «islamico» e usa parole che credevamo di avere affidato ai libri della storia più remota: «crociati», per esempio. È un terrorismo che non fa mistero della sua volontà di piegare l’Occidente, restaurare il califfato, far trionfare l’islam nella sua versione più dura su tutto il mondo. È ovvio che si tratta di un’utopia, ma specialmente la vecchia Europa ha già visto, e più volte, di cosa possa essere capace un’utopia a mano armata. I sogni, dei terroristi, di far tornare l’islam a dominare Budapest e l’Andalusia sono semplicemente pazzeschi e farneticanti. Ma sono pazzie e farneticazioni che non scherzano affatto: hanno costretto gli Usa a intervenire militarmente in Afghanistan e in Iraq, e sono state capaci di condizionare pesantemente la vita politica in Spagna.
È destino che non si debba mai stare tranquilli? Siamo appena usciti dal ventesimo secolo, il secolo dei totalitarismi, delle guerre mondiali, dei genocidi e dei terrorismi ideologici. Crollata l’Urss e riunificata la Germania si parlò seriamente di «fine della storia». Invece occorse impegnarsi in una guerra a due passi da qui, nei Balcani, e il mondo assistette in diretta televisiva alle ultime novità in fatto di aberrazioni: la «pulizia etnica» e lo «stupro etnico». Finita quella, ci fu appena il tempo di lanciare i fuochi artificiali per il Terzo Millennio che già accadde l’11 settembre e siamo piombati in un incubo peggiore perché diffuso. Nessuno è più al sicuro. Non è uno «scontro di civiltà», senz’altro, ma, piaccia o no, è in nome di una diversa concezione della civiltà che si sta combattendo quella che qualcuno non esita a definire quarta guerra mondiale.
Gli esperti e gli analisti ci dicono che il terrorismo fondamentalista islamico non c’entra con la religione perché sia il terrorismo che il fondamentalismo sono invenzioni occidentali. È certamente vero, ma sta costringendo tutti a occuparsi di religione e a interrogarsi sulla propria e su quelle altrui. Se qualcuno cerca di farmi saltare in aria in nome di Allah e dandomi del «crociato» e del «cristiano», è naturale che io cerchi di capire cosa vogliano dire queste parole e che vada a informarmi su Allah, le crociate e il cristianesimo. Così, un Occidente immerso fino al collo nell’edonismo, nell’indifferenza religiosa, nella secolarizzazione e seriamente a rischio di finire nel vuoto del nichilismo si è ritrovato a dover riflettere sulla sua identità, magari scoprendo che questa identità, a suo tempo, era stata definita proprio dal millenario assedio islamico, che aveva costretto gli europei a trovare l’America giusto per aggirarlo.
Poi, a un certo punto, un film riporta la Passione di Cristo al centro del dibattito mondiale, tenendo banco per un intero anno e occupando copertine e prime pagine. Era solo un film ma è stato capace di far discutere su Gesù e il suo processo, la morte e la resurrezione, cioè i principali misteri della fede cristiana. Non è esagerato pensare che, dato il vespaio suscitato, tutti gli occidentali siano andati a vederlo, quel film. Così, mentre il mondo islamico si interroga sulla sua religione e le sue implicazioni, quello post-cristiano si interroga su Cristo. Per molti, nei due campi, si tratterà di riscoperta o, quanto meno, di drastica riflessione. Due coincidenze fanno un indizio, diceva Agatha Christie, e due indizi fanno una prova. Dobbiamo, dunque, inferire la provvidenzialità di tutto quello che accade?
Il credente sa che nulla succede per caso e che è la Provvidenza a guidare la storia. Sì, siamo abituati a usare la parola «Provvidenza» solo per gli accadimenti positivi, ma dovremmo saperlo che a volte Dio permette il male affinché scaturisca un maggior bene. E il bene massimo, per i credenti, è la salvezza dell’anima, cui Dio sembra tenere sopra ogni cosa. Naturalmente, lungi da noi il voler interpretare i «segni dei tempi», perché ci hanno già provato i laudatori dello «spirito post-conciliare» ed hanno preso solenni cantonate. No, l’azione del Padreterno è sempre misteriosa e quasi mai si riesce a decifrarla in corso d’opera. Per esempio, il secolo più anticlericale fu l’Ottocento ma vide un’esplosione di santità e di opere senza precedenti. Però, solo a un secolo di distanza il fenomeno si poté valutare in tutta la sua ampiezza. E gli esempi storici sono solo esempi, perché le cose non si ripetono mai uguali.
Oggi le cose sono diverse e diverso è il problema che abbiamo di fronte. Ma la mente non può fare a meno di correre alla Scrittura, quasi per un riflesso condizionato. L’Apocalisse, al capitolo 13, parla della «bestia che sale dal mare» in questi termini: «Vidi poi una bestia che saliva dal mare; aveva dieci corna e sette teste (…). Ora, una delle teste appariva come colpita a morte, ma la sua ferita mortale fu guarita». Questa «bestia che aveva ricevuto la ferita della spada e poi aveva ripreso vita» (13, 14) può essere figura di un antico nemico che si credeva sconfitto da secoli? Chissà…
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