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13.12.2024

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Arriva l’infanticidio?
1 Febbraio 2014

Arriva l’infanticidio?


Uccidere un bambino nel grembo della propria madre è purtroppo una pratica comunemente accettata. Ma all’orizzonte si disegna la possibilità di legalizzare anche l’uccisione dei bambini nati vivi. Non c’è limite all’aberrazione

Il confine tra aborto e infanticidio si fa sempre più sottile. È questa, purtroppo, la conclusione a cui si arriva registrando alcuni recenti fatti di cronaca che squarciano il velo su una realtà atroce e brutale, che emerge sia a livello teorico che pratico.
Il limite entro il quale si sostiene la liceità della soppressione di un essere umano innocente e indifeso si sta spostando sempre più avanti, in una marcia contraria alla ragionevolezza, all’evidenza scientifica e al comune senso di giustizia e amore umani.
La medesima gravità morale dell’infanticidio rispetto all’aborto – si tratta sempre dell’uccisione di un essere umano indifeso e innocente – suggerirebbe, infatti, di fare un passo indietro per quanto riguarda la legalizzazione del secondo. Oggi, invece, quello che accade è esattamente l’opposto: poiché l’aborto è ormai pratica legale, comunemente accettata, finanche definita come diritto, la strada intrapresa è quella che porta a riconsiderare l’uccisione di un infante come un atto moralmente lecito.
Nulla di nuovo nella storia dell’umanità: basti pensare che due testi risalenti agli albori del cristianesimo, la Didaché e la Lettera a Diogneto, mettevano in risalto come i primi cristiani (siamo attorno al I e II secolo d.C.) si distinguessero proprio per non praticare aborto e infanticidio. «Uccisori dei figli, che sopprimono con l’aborto una creatura di Dio»: così si legge nel primo testo a proposito della malvagità di chi segue «la via della morte »; mentre nel secondo i cristiani sono descritti come coloro che «si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati». È chiaro dunque quello che si prospetta: una minaccia alla vita nascente contestuale al tentativo, che ciclicamente si ripete nella storia, di cancellare il patrimonio di fede e cultura di secoli di cristianesimo.
La consequenzialità logica del ragionamento – impossibile negare che ci sia – è agghiacciante: perché lo stesso essere umano, che può essere eliminato fin quando si trova nel ventre materno, una volta nato dovrebbe godere di maggior tutela?

Aberrazioni di due ricercatori italiani
«Ciò che noi chiamiamo “aborto post-nascita” (l’uccisione di un neonato) dovrebbe essere ammesso in tutti i casi in cui lo è l’aborto, compresi i casi in cui il neonato non è disabile». È questa affermazione, contenuta nell’articolo firmato dagli italiani Alberto Giubilini e Francesca Minerva e pubblicato nel febbraio 2012 sul Journal of Medical Ethics, a rendere lampante la logica di cui sopra. Giubilini e Minerva, rispettivamente affiliati al Centro di bioetica umana e a quello di filosofia applicata ed etica pubblica dell’Università di Melbourne, con tale affermazione hanno voluto significare che il neonato non gode dello status giuridico di persona, così come il bimbo non ancora nato: da qui, appunto, la conclusione che l’infanticidio dovrebbe piuttosto chiamarsi aborto post-nascita e dovrebbe essere eticamente permesso anche quando per il neonato si prospetta una vita di buona qualità, ma «il benessere della famiglia è a rischio».
Quella fatta dai due studiosi italiani non è niente altro che la sistematizzazione di un pensiero che trova una applicazione più ampia di quanto si possa immaginare. Se alla base sta la logica del rifiuto del figlio, è innegabile che un medico abortista non possa che agire di conseguenza: un figlio non voluto è un figlio da eliminare, anche nella “malaugurata” ipotesi che sopravviva a una interruzione di gravidanza.

Alcuni casi sparsi nel mondo
È questo il caso, ad esempio, del dottor Kermit Gosnell, che nella sua clinica di Philadelphia non si limitava a praticare aborti tardivi – cioè a un’età gestazionale molto avanzata – ma si spingeva fino ad eseguire veri e propri infanticidi. Come durante il processo, conclusosi nel maggio del 2013, il dottor Gosnell agiva senza pietà sui bambini che nascevano vivi. Alcuni dei suoi collaboratori hanno descritto scene raccapriccianti: dalla quasi decapitazione di neonati (con delle forbici, il medico recideva la colonna vertebrale all’altezza del collo), al loro sgozzamento, fino all’abbandono in attesa che sopraggiungesse la morte. Da notare che il processo si è concluso con una condanna esemplare per Gosnell per tutti quei casi in cui è stato possibile accertare che il bambino deceduto era nato vivo, mentre è stato archiviato quello relativo ad un infante per il quale non è stato stabilito con certezza il fatto che fosse vivo al momento delle violenze subite dal medico. Una sentenza in perfetta armonia con l’idea che un bambino possa essere ucciso fin quando non sia nato, ma che, vien da dire con amara ironia, dimostra scarsa considerazione delle teorie propagandate da quei cattedratici che in buona sostanza avrebbero evitato al dottor Gosnell la noia del processo.
Ma il dottor Gosnell non è un caso isolato. Almeno un altro nome ha svegliato gli Stati Uniti dal torpore da assuefazione abortista, quello di Douglas Karpen. Il caso è scoppiato quando tre collaboratrici del medico, che praticava aborti nelle sue tre cliniche in Texas, hanno denunciato l’orrore di cui erano state testimoni, con tanto di prove fotografiche: bambini, nati vivi, letteralmente sgozzati e gettati nell’immondizia. Una delle testimoni racconta di un dialogo avuto col dottor Karpen. Il medico raccontava di aver eseguito un aborto su una donna. Il risultato fu la nascita di un bimbo vivo. «E cosa hai fatto?», dice di aver chiesto la testimone. «Che cosa potevo fare? Ho ucciso il bambino». Una risposta disarmante, ma in sintonia con la logica del rifiuto del nascituro. Torniamo dunque a chiederci: per quale motivo il dottor Karpen avrebbe dovuto salvare quel bimbo che fino a pochi istanti prima si accingeva a sopprimere legalmente? Qual è la differenza in termini morali tra un aborto e un infanticidio?
A questa domanda non volle – o non seppe? – rispondere Nancy Pelosi, leader del partito democratico statunitense, dichiaratasi «cattolica praticante e rispettosa». Interrogata a tal proposito da un giornalista del Weekly Standard durante una conferenza stampa, Pelosi preferì tacere, affermando che la questione non è di natura politica. C’è da capire l’imbarazzo della navigata politicante, perché quella differenza non esiste: una volta che si apre all’aborto, possiamo stare certi, come infatti è accaduto, che prima o poi ci sarà qualcuno pronto a discutere di infanticidio.
Purtroppo anche l’Italia ebbe il suo caso clamoroso: nel febbraio 2007, i ginecologi Ilio e Marcello Spallone furono condannati in via definitiva per omicidio volontario. Nella clinica dei due si eseguivano aborti clandestini fino all’ottavo mese di gravidanza. Il figlio eventualmente nato vivo, come è emerso dal processo, veniva ucciso e smaltito col trituratore.
Si potrebbero fare molti altri esempi. Basti pensare alla Cina, dove la politica del figlio unico [ndr: solo leggermente attenuata di recente] porta a praticare l’infanticidio come mezzo di selezione del sesso del neonato: la preferenza delle famiglie cinesi per il figlio maschio spinge a sbarazzarsi delle femmine anche dopo la nascita, per non parlare dei milioni di aborti che ogni anno vengono praticati.

Fare marcia indietro
È lecito a questo punto domandarsi quanto la cultura abortista abbia permeato il mondo moderno e in particolar modo la pratica medica – fino a renderli inclini all’infanticidio – e a causa di questo quanti possano essere i bimbi innocenti che, ogni giorno nel mondo, vengono uccisi una volta nati vivi per il solo fatto di essere indesiderati o giudicati inadatti a vivere.
E chiediamoci se non sia il caso di essere grati a studiosi e medici che con le loro idee e le loro azioni mostrano concretamente la contiguità morale tra aborto e infanticidio. O fermiamo il fiume di sangue innocente combattendo l’aborto, o prima o poi da quel fiume saremo travolti una volta di più, quando anche l’infanticidio diverrà una pratica con ampio consenso.

Per saperne di più…

Alberto Giubilini – Francesca Minerva, After- birth abortion: why should the baby live?, «Journal of Medical Ethics», pubblicato online il 23 febbraio 2012.
Renzo Puccetti, Infanticidio, chi lo fa e chi lo teorizza, www.lanuovabq.it 22-5-2013. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2268 e 2271.

IL TIMONE N. 130 – ANNO XVI – Febbraio 2014 – pag. 26 – 27

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